Due modi di andare oltre lo stimolo: vedere e pensare
Il rapporto tra vedere e pensare, riguarda senza dubbio l’analisi di due forme di conoscenza.
Ambedue sono parte integrante della costruzione dell’esperienza, giacché questo processo non si configura come una mera registrazione, ma come una costruzione attiva che integra i dati sensoriali congiuntamente ad operazioni di categorizzazione, astrazione ed inferenze.
Ma dove iniziano le operazioni intellettive e dove finiscono le rappresentazioni propriamente percettive?
Secondo taluni queste due attività sono qualitativamente differenti e sottendono a leggi diverse, invece secondo altri nella percezione visiva ci sarebbero in embrione le leggi che sottendono alla costruzione del pensiero.
Nel primo caso già nel processo primario o precategorico o preattentivo interverrebbero delle regole che segmentano e organizzano l’esperienza secondo parametri propri, delle effettive «leggi del vedere» in senso stretto.
Nel secondo caso vedere e pensare farebbero parte di una globale attività cognitiva e, dunque, l’attività razionale pervaderebbe l’intera fase del processo a partire dalla formazione stessa degli oggetti.
D’altronde potrebbe essere altresì fuorviante tracciare una distinzione netta tra i due processi: non esisterebbe cioè un pensiero puro o una percezione pura, ma essi giacerebbero su un medesimo continuum.
Le diverse posizioni hanno incontrato forti difficoltà di comunicazione poiché ci sono disaccordi sui presupposti di base, primo fra tutti il concetto di percezione non sembra essere chiaramente definito. Se intendiamo il termine nel suo uso allargato con «percezione visiva» si intende l’intero “processo che porta dalla formazione dei cues, all’interpretazione dei cues stessi” (Kanizsa, 1991, p. 27).
Oppure il termine può essere inteso in un’accezione più ristretta e riferirsi a quell’attività che comunemente viene chiamata «vedere». A favore di questa seconda definizione sta il fatto che il cieco certamente non vede, ma altrettanto certamente pensa.
A questo proposito emerge un’altra fondamentale questione di natura gnoseologica che si interroga sulle modalità del vedere e sul vedere come attività conoscitiva. Arriviamo a questo punto al fulcro centrale di uno degli interrogativi più antichi della filosofia e delle scienze cognitive:
come è possibile il vedere?
L’analisi delle condizioni di possibilità del vedere può essere affrontata dal punto di vista della neurofisiologia e riguardare l’attività ottica del cervello. Ma si può adottare un’altra chiave di lettura che da conto del vedere come attività psicologica cosciente, come condizione di possibilità dell’esperienza.
Il mondo fisico che in ogni istante ci troviamo davanti quando apriamo gli occhi non è la semplice copia del mondo fisico che ci circonda. Ma come vengono elaborate le informazioni per costruire quelle rappresentazioni del mondo con cui siamo famigliari? Attraverso quali processi giungiamo dall’esperire al conoscere? In particolare, quali sono i vincoli e le modalità di interazione di «vedere» e «pensare» ?
Intorno a questi problemi, almeno a partire dal 1700 si è sviluppata una delle più interessanti controversie filosofiche e scientifiche.
Ciò che in questo lavoro si propone sono i punti di vista generati dagli studi psicologici e fisiologici di R. L. Gregory, dalla fenomenologia sperimentale di G. e dalla più recenta psicologia evoluzionista di P. Bressan in una nuova interpretazione critica.
Nonostante si urtino parametri d’impostazione e decisioni finali differenti, le correnti di pensiero sembrano non avere dubbi che vedere e pensare siano due modi di andare oltre l’informazione data, due slanci per superare lo stimolo e arrivare al di là di esso.
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Informazioni tesi
Autore: | Pasqualina Ramogida |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università degli Studi della Calabria |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Francesco Ferretti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 42 |
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