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Charles Alphonse Dufresnoy : "De Arte Graphica"

Quando nel 1640 Charles Alphonse Dufresnoy iniziò la composizione del suo breve trattato sulla pittura, aveva solo ventinove anni, ma un obiettivo preciso da raggiungere: dare alla sua arte un fondamento teorico.
Giunto a Roma già da sei anni, seguendo l’esempio del più anziano Poussin, egli assistette alla consacrazione della fama di quest’ultimo, che proprio in quel periodo tornava in Francia accolto con tutti gli onori.
L’ammirazione per il pittore normanno, comune peraltro a tutti i giovani artisti francesi di stanza a Roma, e la passione per le opere classiche avevano spinto il nostro autore verso un’arte estremamente “ragionevole”, che tentava di conciliare tutte le parti della pittura (disegno di Michelangelo, composizione di Raffaello, colore di Tiziano, grazia del Correggio) allo scopo di raggiungere il bello ideale.
L’osservanza nel suo lavoro di una dottrina esigente di selezione della natura e di imitazione dell’ “antico”, inoltre, deve aver portato presto il Dufresnoy alla decisione di mettere per iscritto i principi che lo guidavano nella composizione di un’opera.
Il De arte graphica nasce dunque dall’esperienza diretta del suo autore. Partecipe e protagonista in campo pittorico di una corrente tra le più vitali del secolo, quella classicistica, egli tenterà di darle luce attraverso la poesia, imponendosi agli occhi degli intenditori nel ruolo di pittore-letterato, precedentemente appartenuto a Poussin.
Il piccolo trattato ha quindi, fin dall’inizio, un’impostazione di carattere didattico, più che filosofico. Attraverso una serie di norme, massime e consigli, il suo autore intende fornire ai giovani pittori un percorso di formazione e di studio, utile alla loro maturazione artistica.
Lungi dal poter essere definito un’opera d’estetica propriamente detta (come più tardi lo saranno l’Idea del Bellori o La perfezione della pittura del de Chambray), il poemetto del Dufresnoy si presenta invece subito nella sua più concreta natura di precettistica d’arte, di un piccolo ma raffinato manuale ad uso dei pittori.
La prima stesura del De arte graphica fu in lingua francese ed occupò l’autore, al culmine della sua attività lavorativa, per ben nove anni.
La decisione di tradurre l’opera in latino e di darle la forma di un poemetto in esametri di stile epigrammatico dovette essere successiva. Essa fu probabilmente dettata dal desiderio di dare allo scritto maggiore dignità letteraria ed una diffusione più estesa di quella che gli sarebbe derivata dall’uso di una semplice lingua nazionale.
La versione finale del piccolo trattato richiese al pittore-poeta altri quattordici anni di intenso labor-limae. Ma, completato a Parigi intorno al 1665, il De arte graphica fu pubblicato solo nel 1668, dopo la morte del suo autore, dall’inseparabile amico Pierre Mignard.
Sulla scorta di Franciscus Junius, che nella sua opera scomponeva la pittura in cinque parti distinte, ovvero invenzione, proporzione, colore, moto-espressione e disposizione (ispirandosi a sua volta alle cinque massime divisioni della retorica - inventio, dispositio, elocutio, memoria e actio -), Dufresnoy articola il suo poema sui tre concetti fondamentali di invenzione, disegno e colorito.
Egli arriva a questa semplificazione basandosi su una prassi pittorica che gli consente di ripercorrere, nei fatti, le tappe della creazione artistica.
In questo modo include, nella categoria dell’invenzione, la scelta del soggetto e l’ordinamento generale della composizione (dispositio); intende col più pratico termine di disegno, sia lo studio delle proporzioni, che la rappresentazione dei moti (nella loro doppia accezione di movimenti del corpo e di espressione delle passioni dell’animo); infine attribuisce all’ultima parte della pittura, il colorito, un’importanza pari a quella delle altre due, rompendo i tradizionali cliché che la consideravano un “mero ornamento”.
Tuttavia, la particolare considerazione della cromatica non è l’unica novità presente nel pensiero critico dell’autore. Sebbene, infatti, Dufresnoy, come Junius, accetti tutti i postulati della dottrina classicistica (ovvero, conoscenza delle proporzioni, nobiltà del tema rappresentato, disposizione delle parti rispetto al tutto, e così via) e formuli in belle parole queste tesi (che non sono sue, ma piuttosto di Cicerone, Seneca, Quintiliano, Vitruvio e altri) egli parteggia per l’ala più liberale della tradizione. Facendo appello alla fantasia dei pittori, sostiene, con lo stesso Junius, che un’opera creata secondo le regole può essere integrata dall’inventiva dell’artista. Prospetta, dunque, nella sua teoria dell’arte, la libertà del “genio”, e limita le regole a pochi ma efficaci precetti, da stabilire attraverso i modelli perfetti delle opere antiche.

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Premessa 1 Premessa el suo volume Idea. Contributo alla storia dell’estetica, Erwin Panofsky, dopo aver trattato diffusamente l’epoca del Manierismo, intitola il capitolo successivo, dedicato al Seicento, “Il Classicismo” 1 . Per quanto lo studioso tedesco sembri dimenticare l’importanza del Barocco e delle congiunte teorie estetiche sull’ingegno, la sua implicita definizione dell’estetica del secolo XVII non è affatto fuor di logica. Infatti, sebbene in campo artistico il Barocco sia la corrente più vitale del periodo, non si può di certo dire che il Seicento abbia avuto una teoria dell’arte barocca. Il concetto di autonomia estetica, del resto, è una conquista del Romanticismo e l’epoca di Bernini non mostrò di averla raggiunta: gli artisti barocchi diedero vita ad opere del tutto diverse da quelle rinascimentali, sovvertendo le idee tradizionali di forma e di spazio 2 ; tuttavia non furono capaci di formulare categorie estetiche adatte alla loro stessa arte. Forse per inerzia, forse per abitudine, per incapacità o più semplicemente per timore, essi preferirono aderire alla vecchia 1 Cfr. E. Panofsky, Idea. Contributo alla storia dell’estetica, Berlino, 1924, trad. it. Firenze, 1953, p. 73. 2 Su questo tema cfr. P. Portoghesi, Roma Barocca, Roma - Bari, 2001 (9a ed.), cap. II, pp.5-21. N

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Informazioni tesi

  Autore: Salvatore Roselli
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2002-03
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Michelino Grandieri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 102

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