Cause ed effetti di un processo sociale: il caso dei flussi migratori nel Mediterraneo
Non vi è epoca storica che non abbia conosciuto movimenti migratori di una qualche consistenza, né area del pianeta che non ne sia stata investita. Nessuna società è statica, nemmeno la più stabile e sedentarizzata. Gli spostamenti di popolazioni, la trasformazione della mappa etnica e, nel lunghissimo periodo della mappa genetica, il mescolarsi degli uomini e delle culture sono sempre stati, e tuttora sono la regola, non l’eccezione. Le migrazioni hanno lentamente ma inesorabilmente modificato il patrimonio genetico dei vari gruppi umani. Qualunque società reale è stata ed è tributaria, in maggiore o minor misura, dei fenomeni migratori.
L’immigrato è tale in quanto è giunto presso la società ospite; ma per se stesso e per la società di origine è un emigrante. Proprio per includere ambedue i lati del rapporto, il «venir da» e il «venir a», l’«aver lasciato» e l’«esser giunto», è preferibile parlare di migranti anziché di immigrati ed emigranti. L’identità del migrante è determinata dal rapporto con il suo essere sociale (il suo mondo, le sue relazioni, i suoi affetti, il suo status) che seguita ad agire nonostante sia fisicamente assente. Egli è legato ad un complesso di relazioni affettive, simboliche e materiali che continuano a determinare la sua identità, pur essendo assenti e sconosciute alla società ospitante. Le migrazioni instaurano un rapporto circolare tra civiltà, uno scambio tra territori e culture che si riflette sull’identità di tutti i soggetti coinvolti. Trasferendosi in un’altra cultura, un migrante espone la propria cultura d’origine all’influenza di un contesto a lui in tutto o in parte estraneo; contemporaneamente, sia pure in misura più ristretta, la sua cultura d’origine interagisce con la cultura del paese d’accoglienza. Le figure più eclatanti, ma minoritarie, tra i migranti contemporanei – ambulanti, mendicanti, lavavetri, prostitute – inducono a rappresentazioni mistificanti: nella stragrande maggioranza l’immigrato non è un lazzarone o un parassita o un deviante, ma una persona che combatte e fatica duramente per la propria sopravvivenza, in un ambiente sconosciuto, talvolta ostile. In ogni caso, chiunque sia il migrante che abbiamo davanti, bianco o nero, colto o analfabeta, ricco o povero, lo straniero non è l’Altro, un estraneo, un alieno che non interagisce con noi sul piano culturale e civile e che al massimo lavora per noi. I migranti non solo non sono persone meno civili degli autoctoni, come vuole un diffuso pregiudizio, ma nemmeno sono uomini senza qualità, privi di sapere, di risorse e di professionalità, come vuole il senso comune. Al contrario, nei loro luoghi d’origine essi erano spesso i più intraprendenti, i meno rassegnati, i più duttili, i più dotati di un multiforme bagaglio di conoscenze. L’emigrazione, insomma è una scelta selettiva, che non tutti sono in grado di compiere, e che coinvolge in modo non uniforme l’intero spettro della popolazione. Sono i più qualificati infatti, gli ambiziosi, gli energici che cercano occasioni di successo nel paese da loro scelto e così facendo corrono dei rischi; i poveri, gli inetti, i deboli e quelli in qualche modo impediti restano a casa.
Nonostante la loro normalità, le migrazioni, come ogni processo sociale, suscitano in noi valutazioni e reazioni antitetiche, che discendono da opposti sentimenti e giudizi di ordine ideologico, politico, morale. Illudersi che le migrazioni siano fenomeni a costo zero non è meno grave che dipingerli con i colori scuri della catastrofe. Chi sottovaluta gli effetti delle migrazioni, esaltando oltre misura il radioso futuro che ci schiudono, rischia di non ottenere risultati molto diversi da chi sostiene, secondo uno schema coscientemente egoistico e vagamente razzista, che l’immi¬grazione è la causa di tutti i mali, dalla droga alla prostituzione, dalla delinquenza alla disoccupazione.
I migranti non sono una minaccia, non rubano il lavoro a nessuno, non portano malattie, non aumentano i normali tassi di criminalità, non mettono a repentaglio la vita civile. Non si deve ignorare che le migrazioni costituiscono, tuttavia, un evento doppiamente traumatico: per chi, partendo, deve lasciare la propria terra e i propri affetti per un futuro difficile e incerto in un ambiente estraneo e potenzialmente ostile; per chi, accogliendo, deve cimentarsi con soggetti estranei, portatori di una diversa cultura, e che pongono complessi problemi di natura politica per il loro ottimale inserimento.
In generale, gli effetti negativi durevoli dei flussi migratori sono tanto più grandi e gli effetti positivi durevoli sono tanto minori quanto più debole è stato l’impegno inizialmente profuso per affrontarli. La scelta di abbandonare a se stessi i flussi migratori non implica all’inizio né grandi interventi né grandi spese, ma quando il fenomeno entra nella sua fase di maturità suscita tali e tanti problemi, tensioni e conflitti, da esigere una mole ben più alta di interventi e di spese.
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Informazioni tesi
Autore: | Vincenzo Garofano |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lingue e culture moderne |
Relatore: | Iain Chambers |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 81 |
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