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Autismo in classe - Percorsi di integrazione degli alunni con disturbo pervasivo dello sviluppo

L'autismo è uno dei disturbi più conosciuti, all'interno dei disturbi dell'età evolutiva. Ed è quello per cui è più chiaro oggi cosa si può fare e cosa è opportuno fare. Questo non vuol dire affatto che sappiamo perfettamente cosa bisogna fare per migliorare la qualità della vita di questi individui. Sappiamo che «autismo» è un termine che indica la presenza di diverse menomazioni, in campo sociale, comunicativo e cognitivo; che queste menomazioni creano disabilità; che questa disabilità produce un handicap. Sappiamo che, in numerosissimi casi, alle disabilità derivate dalle menomazioni tipiche dell'autismo si aggiungono altre disabilità legate a menomazioni associate: ritardo mentale, iperattività, e altro.
L'importanza dell'educazione per il trattamento delle disabilità dell'autismo e delle menomazioni associate, così come l'importanza dell'educazione per il trattamento delle disabilità in generale, è indiscussa. Inoltre sappiamo che per questi problemi esiste un corpus scientifico e metodologico di conoscenze, sul trattamento, e sull'educazione delle disabilità per le riduzioni dell'handicap, che non può essere ignorato, e che offre concrete possibilità di miglioramento ampiamente documentate. Sanità, scuola e servizi sociali, predisposti e dotati di risorse per svolgere questa funzione, non possono permettersi di ignorare e di tralasciare queste conoscenze.

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PREMESSA Nel senso comune, quando si pensa all’autismo vengono subito in mente una serie di frasi, di immagini e di luoghi comuni: “Vive chiuso in un mondo tutto suo”, “Ricorda a memoria tutti i numeri della rubrica telefonica e delle targhe delle macchine”. La persona con autismo non vive in un mondo suo, purtroppo vive circondata da un mondo che non decodifica, vive in un mondo che manda una serie di stimoli, informazioni e messaggi per lei incomprensibili. Una buona parte delle persone con autismo non ha una memoria straordinaria, anzi, spesso sono affette da ritardo mentale; ciò che permette, ad alcune di loro, di avere delle speciali e non comuni abilità è un’attenzione selettiva. Quest’ attenzione permette loro di ricordare delle cose che le persone normalmente non ricordano, ma queste conoscenze, come ad esempio tutti i codici di avviamento postale o tutti i titoli del quotidiano, non danno la capacità di saper utilizzare le informazioni acquisite. Quando penso all’autismo mi ricorrono alla mente una serie infinita di immagini, volti, emozioni. Il ricordo più vivo, e più caro, risale al periodo della mia infanzia, quando in estate, con la mia numerosa famiglia, andavamo al mare: nonni, genitori, zii e cugini. Io e mio cugino Mauro, allora, eravamo i più piccoli e ancora non avevo capito che qualcosa non andava. Non facevo caso al fatto che a lui non interessasse giocare con me o che ancora non parlasse, mi divertivo quando rubava il gelato a qualche bambino, quando nuotava a largo e nessuno riusciva più a raggiungerlo. Lo osservavo con attenzione quando restava delle ore a giocare con la sabbia, i granelli gli scivolavano tra le dita e li osservava uno ad uno con estrema concentrazione come se, in silenzio, li contasse. I suoi genitori lo portarono da tutti i più illustri specialisti in quel campo a quei tempi. In famiglia si bisbigliava che Mauro non avrebbe mai parlato, i medici dicevano che non c’era niente da fare, ma vent’anni fa non capivo e credo che nessuno avesse chiaro cosa in realtà fosse questo AUTISMO. Oggi siamo entrambi adulti, non nuota più così lontano e ha messo su un po’ di “pancetta”, ogni volta che ci incontriamo mi sorride e mi offre la mano per stringergliela. I medici avevano ragione Mauro non ha mai parlato, ma questo non significa che non comunica o che non dimostra il proprio affetto. Durante i primi anni di lavoro, come insegnante di sostegno, nella Scuola Primaria, ho avuto finalmente la risposta alla domanda “cos’è l’autismo?”. Quando il Dirigente Scolastico mi ha assegnato alla classe di Simone, ho iniziato a studiare la diagnosi funzionale e ho contattato il Neuropsichiatra infantile, che si occupava della riabilitazione, per stabilire il Piano Educativo Individualizzato. Ho cercato di documentarmi e ho assistito alle sedute della terapia comportamentale per un mese, poi ho esposto al Neuropsichiatra il risultato del mio lavoro. I primi incontri furono disastrosi e la frustrazione enorme, il medico mi disse “Voi insegnanti di sostegno non avete alcuna formazione!” Fortunatamente ho perseverato, consapevole che è vero che noi

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Falchi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Sassari
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze dell'educazione e della formazione
  Relatore: Gianfranco Nuvoli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 146

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Parole chiave

autismo
bisogni educativi speciali
disturbi pervasivi dello sviluppo
disturbo di asperger
incidenza
integrazione
nuoro
percorsi educativi
percorsi riabilitativi
piano educativo individualizzato
programma teacch
scuola primaria

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