Arte e biotecnologie
La mia tesi di laurea ha come argomento la connessione attuale tra “Arte e Biotecnologie”:
essa vuol descrivere i legami che si sono instaurati negli ultimi anni tra l’arte contemporanea e il mondo scientifico delle biotecnologie.
Arte concentrata sul transito, sulla mutazione, sul divenire. Arte ricombinante nell’epoca della sua riproducibilità genetica. Arte come filosofia del trasferimento.
Nel mio elaborato ho suddiviso gli artisti da me trattati in due gruppi, date le loro differenze di materiali e tecniche utilizzate per decifrare il mondo delle biotecnologie: cioè tecniche artistiche tradizionali e materiali inorganici per alcuni, e tecnologie scientifiche e materiali organici, invece, per altri.
Gli artisti di questo primo gruppo creano, ognuno a modo suo, ambienti e situazioni che suscitano in noi una riflessione sulla nuova realtà biotecnologica e sui suoi potenziali effetti, positivi o negativi. Rientrano perfettamente nel concetto che tutti hanno di Arte, utilizzando i diversi mezzi espressivi artistici per trattare questo argomento.
Per quanto riguarda Patricia Piccinini, tra le sue opere possiamo citare i lavori “Protein lattice”, “SO2” e il gruppo “We are family”, esposto anche nel padiglione australiano della Biennale di Venezia 2003 (del quale vengono mostrate le opere “Still life with stem cells”, “Game boy advanced”, “The young family” e “Leather landscape”).
Del duo artistico Aziz+Cucher, invece, si possono citare le seguenti opere: “Faith, Honour and Beauty”, “Dystopia”, “Chimeras” e “Interiors”.
L’idea che essi danno dell’arte può essere definita “inconscio della scienza”. Il loro lavoro mira a riflettere sulle differenze tra corpo/ambiente, interno/esterno e organico/artificiale, attraverso un’arte elettronica e digitale che rappresenti la paura e la curiosità per il nuovo.
Tra le opere di Enrico Tommaso De Paris, quella più interessante per il discorso da me intrapreso è la sua ultima installazione, intitolata “Chromosoma”.
Per ciò che riguarda l’artista Gina Czarnecki, rilevante, tra le sue opere, è “Infected”.
Il suo lavoro definisce, in generale, l’umano e come questo viene oggi plasmato, e a sua volta plasma, il sociale, l’economico e il politico; ella investiga i modi nei quali gli elementi dell’umano vengono manipolati e controllati dalla realtà contemporanea e la ormai sempre più irriconoscibile differenza tra il naturale e ciò che invece è costruito dall’uomo.
Nel secondo gruppo ho, invece, collocato alcuni dei cosiddetti “artisti biotech”, o bioartisti, creatori della cosiddetta “arte transgenica” o “arte semi-vivente”. Essi definiscono una nuova tendenza mondiale che porta l’arte dentro i laboratori scientifici, utilizzando le biotecnologie come nuovissimo medium artistico. In questo modo così estremo e provocante, così lontano dalla classica idea di purezza artistica, questo tipo di arte accresce, comunque, il dibattito attuale sui pro e contro delle biotecnologie, aiutando, così, anche l’opinione pubblica ad avere una maggior consapevolezza nelle scelte riguardanti il proprio futuro, su questioni che non sempre sono alla portata di tutti.
Per quanto riguarda il primo artista che tra questi ho nominato, e cioè Eduardo Kac, tra le sue opere trovo importante citare “Genesis”, “GFP Bunny” e “The 8th day”.
Il Collettivo Symbiotica è un laboratorio di ricerca dedicato all’esplorazione artistica della conoscenza scientifica in generale e biotecnologica in particolare, fondato nel corso degli anni Novanta all’interno della University of Western Australia. Di questo gruppo artistico si possono citare lavori quali: “Victimeless Leather”, “Extra Ear ¼ Scale”, “The Pig Wings project” e “The Semi-living Worry Dolls”. Tutte queste opere, ognuna su una tematica particolare, sono sculture di tessuto create su strutture ibride di biopolimeri con cellule di tessuto osseo, cartilagineo, muscolare o epidermico e cresciute in bioreattori.
Di Peta Clancy, l’opera che si dimostra più interessante per questo discorso è quella denominata “Visible Human Body”.
Questa artista indaga, nei suoi lavori, il corpo e la sua connessione con le tecnologie biologiche e mediche utilizzando anche materiali organici, come ad esempio colture di batteri.
Utilizzando sia la libertà espressiva dell’arte, che la sua funzione etica ed educativa, questa direzione, assunta oggi da un certo numero di artisti, va presa, a mio avviso, nel migliore dei modi, cioè come un tentativo di apportare una critica costruttiva alle biotecnologie, ma allo stesso tempo non troppo ingenua, data la delicatezza dell’argomento trattato.
La critica artistica, insieme a quella bioetica e filosofica, può permetterci di analizzare correttamente questo mondo ancora così poco conosciuto e sul quale, ad ogni modo, il dibattito rimarrà aperto ancora per molto.
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Informazioni tesi
Autore: | Vanina Santi |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2004-05 |
Università: | Università degli Studi di Urbino |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Silvia Cuppini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 147 |
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