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L'esperienza del trattamento dell'anoressia-bulimia nel piccolo gruppo monosintomatico

L’anoressia-bulimia è una malattia cosiddetta psichica, mentale, che investe profondamente il corpo e, più di ogni altra, mette a rischio la sopravvivenza del corpo. Ma andando oltre l’aspetto puramente medico-fisico possiamo vedere l’anoressia-bulimia come un scelta del soggetto, un anestetico, una stampella, ovvero una cura: il rifugio nel sintomo consente di sfuggire ai pericoli, ai dolori che rendono intollerabile la vita, in nome di un ideale di purezza, di distacco, di autonomia assoluta. Paradossalmente l’anoressia-bulimia, più che come una malattia, è vissuta come una cura del disagio dell’esistenza. Con il sintomo anoressico-bulimico il soggetto prende le distanze dalle relazioni umane, preserva la propria soggettività, si difende dagli eccessi dell’altro, vive in una dimensione di controllo delle passioni che protegge la persona dai rischi del rapporto con gli altri; nel sintomo trova una propria, anche se falsa, identità. In queste condizioni il soggetto si illude di non aver bisogno di nessuno, ma basta il minimo cedimento per far sgretolare la rocca inespugnabile in cui ci si è rinchiusi. Solo quando perdono questa forza e cedono alla pulsione di mangiare, venendo travolte dalla spinta ad abbuffarsi di cibo e diventando bulimiche, possono domandare una cura, sperando di recuperare quel potere perduto. L’obiettivo clinico sarà, allora, quello di permettere alla persona di riflettere sul senso del suo sintomo, ricercare le cause della genesi della malattia, ricordando gli eventi salienti della sua vita e il modo in cui li ha vissuti, affinché il sapere che elabora durante questo lungo percorso la spinga a modificare le scelte che ha fatto e i vantaggi che paradossalmente ottiene dal suo disagio. Il lavoro analitico con i disturbi alimentari è un lungo lavoro di accettazione della persona e di comprensione profonda del suo disagio; non si guarisce forzando la persona ad alimentarsi né estirpandole di dosso il sintomo.La posizione anoressica-bulimica del soggetto si presenta come ostile ad ogni legame con l’altro, è un rifiuto radicale dell’Altro. Questo rifiuto conduce il soggetto a scegliere come partner anziché l’altro sesso, un partner alternativo, inumano e asessuato. In questo senso, l’immagine del corpo-magro riflessa allo specchio e l’attrazione irresistibile verso l’oggetto-cibo prendono il posto di ogni possibile legame sociale. La tendenza narcisistica e quella socialistica che sono, secondo Bion, ugualmente imprescindibili per la costituzione del soggetto, sembrano non annodarsi ma divergere. Si afferma così nel soggetto anoressico-bulimico un narcisismo mortifero che separa il soggetto da ogni forma di legame. In questo lavoro di tesi cercherò di illustrare il funzionamento del piccolo gruppo monosintomatico anoressico-bulimico, a conduzione analitica, come dispositivo efficace nel trattare questa chiusura narcisistica e autistica di godimento, ovvero nel rompere l’isolamento anoressico-bulimico. Il piccolo gruppo monosintomatico è un gruppo composto da soggetti che condividono la stessa sofferenza anoressico-bulimica. L’esperienza del gruppo è, innanzitutto, l’esperienza di un legame, di un annodamento; è l’esperienza di un Eros che si contrappone alla spinta alla morte. Il gruppo diventando un nuovo oggetto libidico prova a deviare la corsa rovinosa del soggetto verso la morte. In altre parole, attraverso il gruppo si tenta di sfruttare la monosintomaticità, ovvero la tendenza sociale a fare del sintomo una sorta di insegna identificatoria che raggruppa soggetti simili uniti da un tratto comune, per tentare, successivamente di riabilitare il soggetto dell’inconscio e far emergere il tratto unico, particolare e irriducibile del soggetto ovvero il suo desiderio. Detto in altri termini, si parte dall’universalità del sintomo per arrivare alla “particolarità”, all’unicità del singolo. Il gruppo è sperimentato, anche in letteratura (Neri, 1995; Marinelli, 2004; Corbella, 2004; Recalcati, 2005), come un luogo che rende nuovamente praticabile uno scambio con l’altro; attraverso il gruppo si cerca di “rimettere il soggetto alla tavola dell’Altro”, in un nuovo convivio dove ciò che circola non è l’oggetto-cibo ma la dimensione simbolica della parola. In altre parole il piccolo gruppo ricostruisce simbolicamente la tavola dell’Altro. Un aspetto importante, in questo contesto, gioca il ruolo dell’analista. Un gruppo è tale in quanto orientato dal lavoro dell’analista; l’analista non è il leader, non alimenta l’identificazione a massa ponendosi nel luogo dell’Ideale, come fa il leader. L’analista è colui che, invece, è in grado di guidare la cura e non il gruppo, riuscendo a preservare il suo posto come posto vuoto; riproponendo un’espressione di Lacan, “l’analista opera come meno-uno”, come luogo della non risposta che rende possibile e mobilita il lavoro del gruppo agendo attraverso l’interpretazione. Il filo conduttore di tutto il lavoro di tesi è la prospettiva psicoanalitica lacaniana.

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5 Introduzione L‟anoressia-bulimia è il sintomo tangibile di un dolore che non si vede, di un disagio psicologico lungamente incubato. L‟anoressia-bulimia è una malattia cosiddetta psichica, mentale, che investe profondamente il corpo e, più di ogni altra, mette a rischio la sopravvivenza del corpo. Ma andando oltre l‟aspetto puramente medico-fisico possiamo vedere l‟anoressia-bulimia come un scelta del soggetto, un anestetico, una stampella, ovvero una cura: il rifugio nel sintomo consente di sfuggire ai pericoli, alle minacce, ai dolori che rendono intollerabile la vita, in nome di un ideale di purezza, di distacco, di autonomia assoluta. I soggetti anoressici che riescono a mantenere salda la loro posizione e l‟intenzione di non mangiare non chiedono a nessuno di guarire, perché l‟anoressia è per loro una conquista alla quale non vogliono rinunciare. Paradossalmente l‟anoressia-bulimia, più che come una malattia, è vissuta come una cura del disagio dell‟esistenza. Con il sintomo anoressico-bulimico il soggetto prende le distanze dalle relazioni umane, preserva la propria soggettività, si difende dagli eccessi dell‟altro, vive in una dimensione di controllo delle passioni che protegge la persona dai rischi del rapporto con gli altri; nel sintomo trova una propria, anche se falsa, identità. In queste condizioni il soggetto si illude di non aver bisogno di nessuno, ma basta il minimo cedimento per far sgretolare la rocca inespugnabile in cui ci si è rinchiusi. Solo quando perdono questa forza e cedono alla pulsione di mangiare, venendo travolte dalla spinta ad abbuffarsi di cibo e diventando bulimiche, possono domandare una cura, sperando di recuperare quel potere perduto. L‟obiettivo clinico sarà, allora, quello di permettere alla persona di riflettere sul senso del suo sintomo, ricercare le cause della genesi della malattia, ricordando gli eventi salienti della sua vita e il modo in cui li ha vissuti, affinché il sapere che elabora durante questo lungo percorso la spinga a modificare le scelte che ha fatto e i vantaggi che paradossalmente ottiene dal suo disagio. Si tratta, in altri termini, di allentare con il tempo il legame con un godimento chiuso in se stesso, limitato al circuito del cibo e del vomito, per riallacciare la persona a un legame sociale possibile. Il lavoro analitico con i disturbi alimentari è un lungo lavoro di accettazione della persona e di comprensione profonda del suo disagio; non si guarisce forzando la persona ad alimentarsi né estirpandole di dosso il sintomo.

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