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Lo sport e la creazione di valore: una sfida da vincere oltre la gara

Nel corso degli anni il gioco del calcio ha sempre suscitato enorme interesse in diversi campi di studio, attirando l’attenzione soprattutto per l’aspetto ludico e sociale. Con la trasformazione delle associazioni calcistiche in società aventi fine di lucro (D. L. 20 settembre 1996, n. 485), però, il calcio ha assunto sempre più i connotati di business e, di conseguenza, anche la dottrina economica si è progressivamente interessata al fenomeno. Negli ultimi anni il settore calcio ha vissuto una fase di profonda crisi economico-finanziaria. All’aumento esponenziale dei costi di gestione (il riferimento va soprattutto agli stipendi percepiti dai calciatori) non ha fatto seguito un proporzionale incremento del volume dei ricavi; infatti, gli incassi derivanti dalla vendita degli abbonamenti e dei biglietti per assistere alle partite hanno fatto registrare una notevole flessione e, inoltre, le aspettative economiche riposte nei proventi derivanti dalla cessione dei diritti televisivi sono state in gran parte disattese. Le società di calcio, quindi, hanno speso più di quanto hanno incassato e hanno trasferito tutta la ricchezza ottenuta tramite i contratti televisivi negli stipendi dei giocatori credendo, un po’ utopisticamente, in una crescita esponenziale di suddette entrate. Questa convinzione ha portato le società italiane al mancato tentativo di diversificare le fonti di entrata causandone una forte perdita di competitività a livello europeo al primo cenno di arresto della crescita dei proventi dalle televisioni. Tutto ciò ha portato, da un lato, al fallimento di una serie di club (Napoli, Ancona, Cosenza, Fiorentina, Treviso, Pisa, Avellino, ecc..) e dall’altro, ad una politica aziendale rivolta al ridimensionamento dei piani societari, che, come è accaduto per Parma, Roma e Lazio, per esempio, ha comportato la fissazione di un “tetto massimo” per gli ingaggi, con la concessione di un “trattamento speciale” solo a quei calciatori considerati strategicamente importanti per la squadra e per la società sia per il forte contributo ai risultati della squadra sia per il forte valore mediatico posseduto(come Totti per la Roma, ad esempio). E’ il notevole interesse riposto nell’analisi delle dinamiche economiche che stanno alla base della crisi del settore, insieme alla grande passione per il gioco del calcio, oltre alla ferma credenza dell’esistenza di una strategia economica che possa combinare vittorie sul campo e rislutati positivi di gestione economica che ha spinto alla realizzazione di questa tesi. Sono convinto che il futuro di una società di calcio non possa dipendere dal passeggero flusso di entrate garantito da un “mecenate” ma debba essere ricercato nella capacità di un club di autofinanziarsi ovvero di investire denaro per un importo non superiore all’ammontare delle sue entrate. In quest’ottica risulta essenziale la capacità delle società di diversificare e sfruttare al massimo le proprie potenzialità di generazione di denaro.
La tesi è sviluppata in tre capitoli.
Il primo capitolo è incentrato sull’analisi delle principali voci di bilancio e conto economico di una società di calcio in generale prestando particolarmente attenzione alle differenze che emergono tra club che hanno uno stadio di proprietà rispetto a quelli che non lo hanno.
Il secondo capitolo affronta il tema del rischio sistematico e finanziario legato al mondo del calcio, tema sempre più attuale in seguito alla decisione di alcuni club di quotarsi sul mercato azionario.
Il terzo capitolo invece vuole esplicare il caso di una società italiana, la Juventus, che ha deciso di intraprendere una strategia innovativa nel calcio italiano basata sul binomio successo sportivo e bilancio positivo.
Si analizzerà in particolare il progetto riguardante la costruzione del nuovo stadio della società bianconera che sostituirà il vecchio stadio Delle Alpi nella stagione 2011/12 e i principale aspetti della nuova politica economica e sportiva tracciata dai vertici del club. La tesi è stata premiata con il massimo punteggio.

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4 INTRODUZIONE Nel corso degli anni il gioco del calcio ha sempre suscitato enorme interesse in diversi campi di studio, attirando l‟attenzione soprattutto per l‟aspetto ludico e sociale. Con la trasformazione delle associazioni calcistiche in società aventi fine di lucro (D. L. 20 settembre 1996, n. 485), però, il calcio ha assunto sempre più i connotati di business e, di conseguenza, anche la dottrina economica si è progressivamente interessata al fenomeno. Negli ultimi anni il settore calcio ha vissuto una fase di profonda crisi economico-finanziaria. All‟aumento esponenziale dei costi di gestione (il riferimento va soprattutto agli stipendi percepiti dai calciatori) non ha fatto seguito un proporzionale incremento del volume dei ricavi; infatti, gli incassi derivanti dalla vendita degli abbonamenti e dei biglietti per assistere alle partite hanno fatto registrare una notevole flessione e, inoltre, le aspettative economiche riposte nei proventi derivanti dalla cessione dei diritti televisivi sono state in gran parte disattese. Le società di calcio, quindi, hanno speso più di quanto hanno incassato e hanno trasferito tutta la ricchezza ottenuta tramite i contratti televisivi negli stipendi dei giocatori credendo, un po‟ utopisticamente, in una crescita esponenziale di suddette entrate. Questa convinzione ha portato le società italiane al mancato tentativo di diversificare le fonti di entrata causandone una forte perdita di competitività a livello europeo al primo cenno di arresto della crescita dei proventi dalle televisioni. Tutto ciò ha portato, da un lato, al fallimento di una serie di club (Napoli, Ancona, Cosenza, Fiorentina, Treviso, Pisa, Avellino, ecc..) e dall‟altro, ad una politica aziendale rivolta al ridimensionamento dei piani societari, che, come è accaduto per Parma, Roma e Lazio, per esempio, ha comportato la fissazione di un “tetto massimo” per gli ingaggi, con la concessione di un “trattamento speciale” solo a quei

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