Le sindromi penitenziarie: problematiche in ambito carcerario e analisi socio-criminologica di un caso concreto
A partire dai primi decenni del Novecento alcuni sociologi, medici e psichiatri penitenziari, iniziarono ad analizzare gli effetti "nascosti" e brutali che la detenzione poteva e può tuttora generare in chi la vive in prima persona. Gli studiosi sono oggi ben consapevoli delle ripercussioni negative che l'ambiente carcerario può suscitare sui reclusi, al punto che è possibile considerare le sofferenze psico-fisiche sperimentate durante la detenzione come vere e proprie pene accessorie non scritte in sentenza, ma di fatto costituenti parte integrante della condanna. Oggigiorno, quando ci si riferisce alle alterazioni dello stato psichico dei detenuti, è possibile parlare di "sindromi penitenziarie" o reattive alla carcerazione.
Senza dubbio il carcere rappresenta un contesto di vita molo particolare, quasi una bolla chiusa che, pur trovandosi all'interno della società, sembra non farne parte ed esserne totalmente isolato. Ritrovarsi all'interno di una realtà così diversa, con ritmi ben scanditi dai quali dipende la quotidianità di ogni detenuto, senza più alcun riferimento e supporto dall'esterno, può innescare un processo di destabilizzazione della persona, causandole conseguenze fisiche e psicologiche. La sociologia e la psichiatria hanno dunque riconosciuto l'esistenza di patologie psico-fisiche specifiche che riguardano la popolazione carceraria, di cui si darà una panoramica generale.
Definire le problematiche che verranno trattate a breve come "sindromi" non deve far commettere l'errore di considerare un'anomalia quella che spesso è una (normale) reazione del soggetto al carcere. È (solo) il carcerato ad essere malato o anche il carcere stesso? Infatti, un qualsiasi intervento medico non è in grado di curare o lenire dei sintomi senza prima aver ragionato sulla causa degli stessi.
Nonostante l'ordinamento penitenziario italiano si sia sviluppato aderendo ai principi sanciti ed enunciati nella "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" del 1948, nella "Convenzione europea dei diritti dell'uomo" del 1950, nel "Patto internazionale sui diritti civili e politici" del 1966 e soprattutto sulle "Regole minime dell'ONU per il trattamento dei detenuti" adottate nel 1955 e nelle "Regole minime del Consiglio d'Europa per il trattamento dei detenuti" adottate nel 1973 e, fermo restando che l'articolo 1 dell'Ordinamento Penitenziario sancisce che "Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto delle dignità della persona […] Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi", ancora oggi il carcere è sinonimo di espropriazione di riservatezza, intimità e affetti, spesso provocando sentimenti di vergogna e umiliazione nonché pensieri di negatività e mancanza di speranza nella quotidianità dei detenuti. Sebbene lo Stato italiano abbia cercato di promuovere sempre più una visione preventivo-riabilitativa del carcere anche attraverso il maggior ricorso all'applicazione delle misure alternative alla detenzione, il carcere rimane pur sempre un'istituzione totale con funzioni di deterrenza e neutralizzazione del reo che, attraverso la detenzione, procura privazione, segregazione e stigmatizzazione. Fin dall'inizio del percorso di privazione della libertà, ogni detenuto si trova a dover fare i conti con il proprio vissuto personale e con i disagi che esso comporta, con la perdita degli affetti più importanti, la famiglia e la rete amicale, con il controllo serrato della quotidianità e di ogni suo aspetto, che da questo momento in poi sarà segnata da ritmi scanditi in modo preciso e indipendenti dalla propria volontà, con la conseguente perdita della propria autonomia, che comporta talvolta un processo di spersonalizzazione, e a sostenere il peso dell'attesa di un giudizio definitivo nel caso di un soggetto ancora imputabile. Tutto ciò può facilitare lo sviluppo o la slatentizzazione di disagi psichici e/o disturbi comportamentali nei soggetti sottoposti a privazione di libertà, sia nel caso in cui stiano scontando pene definitive sia se si trovino presso case circondariali dove, al contrario di ciò che si può pensare, la quotidianità appare ancora più pesante a causa dell'ansia sperimentata durante l'attesa di giudizio. Le diverse problematiche che possono insorgere a livello psico-fisico nel detenuto costituiscono quindi una tematica di discussione che riguarda tutti gli istituti di pena manifestandosi, come si vedrà a breve, in tre momenti diversi: nella fase di ingresso in carcere, durante la fase detentiva e/o nella fase che anticipa la scarcerazione.
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Informazioni tesi
Autore: | Claudia Gennari |
Tipo: | Tesi di Master |
Master in | Master universitario di II livello in Criminologia Clinica e Scienze Forensi |
Anno: | 2022 |
Docente/Relatore: | Caterina De Falco |
Istituito da: | Libera Univ. degli Studi Maria SS.Assunta-(LUMSA) di Roma |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 48 |
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