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Fortuna dei Preraffaelliti in Italia

Studio sull'influenza del movimento preraffaellita inglese sulla cultura artistica italiana dal 1870 al 1912.
Di fantasmi carnali e falsi ricordi

Nel 1936 sulla rivista “Minotaure”, Salvador Dalì dichiarava il proprio surrealismo debitore nei confronti di quello “flagrante del preraffaellismo inglese” al quale riconosceva “le donne al tempo stesso più desiderabili e più spaventose che esistano, poichè si tratta di quel genere di esseri che non mangeremmo senza il più grande terrore e la più grande angoscia; sono i fantasmi carnali dei “falsi ricordi” d’infanzia, è la carne gelatinosa dei più colpevoli sogni sentimentali”. Sogni di analoga avvenenza già vari decenni prima imperversarono nella patria odiata ed amata dai proseliti di “The Germ”, in quell’Italia risvegliata ad una nuova età dell’oro dopo l’era del Saturno pontificio che divora i suoi figli liberali e del Golìa asburgico ricacciato oltre le Alpi. Sono gli anni che segnano il culmine del moto risorgimentale sostenuto dall’azione garibaldina e dai progetti di monarchia costituzionale sabauda ispirati al modello britannico. Il tempo dell’ardua impresa di recuperare alla neocostituita nazione, risorta dalle ceneri della frammentazione patita sotto il nerbo austriaco e francese, una sua individua coscienza culturale ancor prima che politica ed economica. Agli albori dello stato liberale, veniva a riscuotersi dalla sua secolare condizione limbicola quella patria artistica per lungo tempo defraudata dell’antico primato culturale raggiunto nell’era dei Medici e di Giulio II. In questa congiuntura storica riprendeva fiato così anche il tema del primato della nazione italiana, come osserva Emilio Gentile: “chi sosteneva questo primato si appellava per verifica storica, alle civiltà universali che erano sorte sulla penisola, alla romanità, al cattolicesimo, all’umanesimo e al rinascimento, i due grandi movimenti spirituali e culturali da cui aveva avuto origine la coscienza dell’uomo moderno (...) il ritorno della nazione italiana alla modernità con la nascita dello Stato unitario, era (...) un riappropriarsi del patrimonio originario del genio italiano moderno, dopo che esso era stato assimilato e sviluppato da altre nazioni europee. Insomma, il risorgimento dell’Italia, dopo secoli di letargo, era il ritorno alla modernità e alla grandezza della nazione, che era stata la grande madre della moderna civiltà europea” . Anche in arte l’idealità propria della “grandeur” professata dall’opera dei grandi mentori rinascimentali, tornava a rinnovare in Italia visioni di una complessiva rigenerazione delle arti e delle lettere. A questo processo di “secondo risorgimento” culturale contribuirono per vie e per modalità diverse quegli stessi “amateurs” anglosassoni inclini a recepire il modello italiano nella sua accezione di sacrario dell’arte suprema che da Dante a Piero della Francesca, da Leonardo a Michelangelo, da Perugino a Raffaello veniva a configurare la compagine unitaria di un’entità culturale che ai loro occhi sarebbe sempre valsa quale “topos” meta-temporale della perfezione, civiltà e moralità dell’agire artistico. Il risveglio dell’interesse per quell’era di superiori concezioni ficiniane e neoplatoniche datava nella letteratura inglese al 1795, anno della pubblicazione della “Vita di Lorenzo de Medici” di William Roscoe, ad inaugurare quello che per la cultura d’oltremanica sarebbe stato un secolo di edizioni, traduzioni di originali italiani, mostre e dibattiti critici condotti intorno al concetto medesimo di Renaissance che Michelet coniava nell’introduzione alla sua elefantiaca “Histoire de France”, teorizzato nel 1873 dagli “Studies in the History of the Renaissance” di Walter Pater, ripreso ed ampliato nel 1895 dal libro di Vernon Lee “Renaissance Fancies and Studies”, e dall’intrigante capitolo “The preraphaelism in Italy” pubblicato nel 1898 nella “History of modern Italian Art” da Willard Hashton Rollins.

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4 INTRODUZIONE Di fantasmi carnali e falsi ricordi Nel 1936 sulla rivista “Minotaure”, Salvador Dalì dichiarava il proprio surrealismo debitore nei confronti di quello “flagrante del preraffaellismo inglese” al quale riconosceva “le donne al tempo stesso più desiderabili e più spaventose che esistano, poichè si tratta di quel genere di esseri che non mangeremmo senza il più grande terrore e la più grande angoscia; sono i fantasmi carnali dei “falsi ricordi” d’infanzia, è la carne gelatinosa dei più colpevoli sogni sentimentali”. 1 Sogni di analoga avvenenza già vari decenni prima imperversarono nella patria odiata ed amata dai proseliti di “The Germ”, in quell’Italia risvegliata ad una nuova età dell’oro dopo l’era del Saturno pontificio che divora i suoi figli liberali e del Golìa asburgico ricacciato oltre le Alpi. Sono gli anni che segnano il culmine del moto risorgimentale sostenuto dall’azione garibaldina e dai progetti di monarchia costituzionale sabauda ispirati al modello britannico. Il tempo dell’ardua impresa di recuperare alla neocostituita nazione, risorta dalle ceneri della frammentazione patita sotto il nerbo austriaco e francese, una sua individua coscienza culturale ancor prima che politica ed economica. Agli albori dello stato liberale, veniva a riscuotersi dalla sua secolare condizione limbicola quella patria artistica per lungo tempo defraudata dell’antico primato culturale raggiunto nell’era dei Medici e di Giulio II. In questa congiuntura storica riprendeva fiato così anche il tema del primato della nazione italiana, come osserva Emilio Gentile: “chi sosteneva questo primato si appellava per verifica storica, alle civiltà 1 S.Dalì, Il surrealismo spettrale dell' eterno femminino preraffaellita, in Si, Milano1980 pag.289

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