Il rapporto tra evasione fiscale ed efficienza aziendale. Implicazioni su crescita dimensionale, concorrenza e mercato del lavoro
Il crescente interesse verso il problema dell’evasione (e del sommerso) è strettamente legato ad una presa di coscienza da parte delle istituzioni e della collettività riguardo i costi sociali derivanti da comportamenti non conformi alle norme fiscali e contributive. Questi costi sociali possono essere essenzialmente di tre tipi: a) macroeconomici e di bilancio, b) equitativi, c) derivanti da inefficienza nell’allocazione delle risorse.
Mentre i primi due aspetti sono stati analizzati da numerosi studiosi nel corso di questi ultimi decenni, il tema del rapporto tra evasione fiscale ed efficienza produttiva e le sue implicazioni sulla concorrenza, sul mercato del lavoro e sulla dimensione aziendale necessitano ancora di essere analizzate a fondo. L’obiettivo di questo lavoro è quello di approfondire queste tematiche soprattutto esaminando il lavoro di alcuni autori, che per primi hanno affrontato l’argomento, sia in chiave empirica che teorica.
Pugno (2000), in particolare, utilizza un approccio teorico volto a studiare gli effetti sulla produzione, sulla disoccupazione e sulla crescita dovuti all’esistenza di un settore di imprese sommerse, caratterizzate oltre che dall’evasione degli oneri fiscali e contributivi, anche da minore efficienza del lavoro e da un più basso costo netto del lavoro rispetto alle imprese legali. Il modello è in grado di spiegare a livello microeconomico, l’eterogeneità dimensionale delle imprese e la minore dimensione di quelle sommerse. Esso, inoltre, permette di determinare un equilibrio generale di carattere macroeconomico. Il modello, che pone grande enfasi sul ruolo delle esternalità positive tipiche delle imprese legali, permette di comparare anche gli effetti di due politiche di emersione: la riduzione dei costi di emersione (condono) e l’incentivazione volta ad aumentare l’efficienza delle imprese legali.
Uno degli assunti fondamentali del modello è la presenza nell’economia di due tipologie di imprese, quelle legali e quelle sommerse. Questa condizione semplificativa, seppur utile per la comprensione del fenomeno non è quella che tipicamente si riscontra nella realtà, dove esistono numerose situazioni intermedie di semi-legalità.
Un ulteriore modello, che supera questo limite, è quello proposto da Carillo e Pugno (2002) nel loro lavoro “The underground economy and the underdevelopment trap”. Questo modello di equilibrio generale assume che ciascuna impresa possa utilizzare sia lavoratori regolari che non regolari come sostituti imperfetti e che gli imprenditori differiscono nelle loro abilità a causa di abilità originarie e di esternalità non lineari. Si dimostra che, in equilibrio, le imprese di piccole dimensioni fanno minore ricorso al lavoro regolare, con effetti negativi sulla loro efficienza.
Anche Carillo e Papagni (2002) sviluppano lo stesso ambito di analisi proponendo un equilibrio economico generale e di crescita, ma introducendo nel modello due ulteriori elementi: il capitale umano e l’innovazione. L’ipotesi di partenza è che l’agire nel sommerso è costoso in termini di risorse per l’impresa. Risorse che vengono quindi sottratte all’innovazione, con effetti negativi anche sulla disponibilità dei lavoratori ad investire nella propria formazione.
Tutti questi lavori teorici, che verranno analizzati nel secondo capitolo, individuano una serie di variabili di contesto che possono influenzare il livello di attività sommersa in una determinata economia, e sono in grado di identificare le caratteristiche delle imprese “illegali”, quali ad esempio la minore dimensione aziendale e il ricorso a manodopera non qualificata. Risulta fondamentale, quindi, verificare la rispondenza nella realtà di queste indicazioni teoriche. A tal fine, nel terzo capitolo, verranno presentati sinteticamente due lavori empirici che analizzano il caso italiano e forniscono ulteriori ed interessanti spunti di riflessione sul tema del sommerso.
Cappariello e Zizza (2004), in particolare, propongono un’indagine nella quale analizzano il ruolo delle variabili economico-istituzionali nel determinare l’elevata disparità dei tassi di irregolarità tra le regioni italiane.
Mentre il lavoro di Ercoli (2005) si sofferma sul legame che intercorre tra evasione, variabili istituzionali e crescita dimensionale delle imprese.
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Informazioni tesi
Autore: | Antonio Castellano |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Lecce |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Scienze dell'economia e della gestione aziendale |
Relatore: | Giampaolo Arachi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 69 |
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