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La nuova nonviolenza pragmatica e le "Rivoluzioni Colorate"

Negli ultimi decenni, all’interno del mondo accademico e degli istituti di ricerca sui conflitti e sulla pace americani, si è fatto largo un nuovo modo di intendere la nonviolenza. Secondo questa corrente, la nonviolenza può essere intesa come un semplice strumento per la conduzione di conflitti. Come tale, questo strumento può essere preferibile alla violenza unicamente in quanto, se ben applicata, la nonviolenza può risultare un’arma per la conquista del potere straordinariamente efficace.

Già nel passato, a partire da Gandhi, la nonviolenza era stata intesa come una forza attiva ed era stata osservata anche in maniera concreta ed orientata ad un risultato. Tuttavia la nonviolenza era sempre stata adottata prima di tutto sulla base di convinzioni etiche e di ideali, o nella convinzione che fosse necessaria una coerenza tra mezzi e fini e che quindi la pace, l’armonia e la fratellanza, non fossero conquistabili o esportabili sulla punta dei fucili.

Secondo i nuovi pragmatici, la nonviolenza è al contrario un semplice insieme di tecniche e di temi che, se applicati con fantasia e disciplina, possono erodere le radici profonde del potere che si vuole conquistare garantendo un successo quasi sicuro e soprattutto molto più solido. Negli anni, partendo anche dall’analisi dei successi e dei fallimenti dei movimenti che hanno applicato una nonviolenza sentita e in parte improvvisata, gli studiosi della nuova nonviolenza pragmatica hanno messo a punto un metodo composto da centinaia di tecniche organizzate in manuali, decaloghi, testi operativi.

Per ammissione degli stessi teorici della nuova nonviolenza, non esiste nulla nella nuova nonviolenza pragmatica che la rende utilizzabile unicamente per fini “buoni”, democratici, morali, veramente popolari. La nuova nonviolenza pragmatica è un semplice strumento “extramorale”, da scegliere perché efficace, che trasforma i valori e gli ideali in semplici “temi” da dosare e diffondere attraverso la propaganda. Il pilastri ed i miti di questa nuova nonviolenza sono piuttosto l’efficacia, il “corporate branding”, il marketing, le tecniche manipolative, la disciplina, la gerarchia.

Questa nuova nonviolenza pragmatica è stata applicata, a partire dal 2000, da molti gruppi di dissidenti sparsi prevalentemente in tutti i paesi dell’est europeo e dell’Asia Centrale. In quattro casi (Serbia, Ucraina, Georgia, Kirghizistan) i gruppi che hanno adottato questo strumento sono riusciti a organizzare altrettante rivoluzioni, le Rivoluzioni Colorate, che hanno sostituito la vecchia classe dirigente con discutibili “giovani élite filo-occidentali”.

Questo lavoro vuole partire da un’analisi il più possibile sistematica, per quanto breve, dei vari modi di intendere la nonviolenza. Il panorama della nonviolenza è straordinariamente variegato ed allo stesso tempo spesso banalizzato, malinteso, poco analizzato.

Successivamente questo lavoro concentrerà l’attenzione sulla nuova nonviolenza pragmatica. Si accennerà a come si è approdati a questa nuova corrente, quali sono le sue basi, e quali le tecniche proposte e studiate. Per fare questo sarà necessario partire dai testi e dai manuali dei maggiori teorici della nuova nonviolenza pragmatica, soprattutto il sociologo e attivista americano Gene Sharp.

Questo lavoro si concluderà con l’osservazione di questo metodo applicato “sul campo” nel corso delle Rivoluzioni Colorate. Nel contempo si cercherà di “smascherare” in parte queste rivoluzioni, definite talvolta “golpe mascherati”, che sono state vissute e raccontate in maniera spesso superficiale anche a causa dell’ignoranza riguardo alla nuova nonviolenza pragmatica.

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Negli ultimi decenni, all’interno del mondo accademico e degli istituti di ricerca sui conflitti e sulla pace americani, si è fatto largo un nuovo modo di intendere la nonviolenza. Secondo questa corrente, la nonviolenza può essere intesa come un semplice strumento per la conduzione di conflitti. Come tale, questo strumento può essere preferibile alla violenza unicamente in quanto, se ben applicata, la nonviolenza può risultare un’arma per la conquista del potere straordinariamente efficace. Già nel passato, a partire da Gandhi, la nonviolenza era stata intesa come una forza attiva ed era stata osservata anche in maniera concreta ed orientata ad un risultato. Tuttavia la nonviolenza era sempre stata adottata prima di tutto sulla base di convinzioni etiche e di ideali, o nella convinzione che fosse necessaria una coerenza tra mezzi e fini e che quindi la pace, l’armonia e la fratellanza, non fossero conquistabili o esportabili sulla punta dei fucili. Secondo i nuovi pragmatici, la nonviolenza è al contrario un semplice insieme di tecniche e di temi che, se applicati con fantasia e disciplina, possono erodere le radici profonde del potere che si vuole conquistare garantendo un successo quasi sicuro e soprattutto molto più solido. Negli anni, partendo anche dall’analisi dei successi e dei fallimenti dei movimenti che hanno applicato una nonviolenza sentita e in parte improvvisata, gli studiosi della nuova nonviolenza pragmatica hanno messo a punto un metodo composto da centinaia di tecniche organizzate in manuali, decaloghi, testi operativi. Per ammissione degli stessi teorici della nuova nonviolenza, non esiste nulla nella nuova nonviolenza pragmatica che la rende utilizzabile unicamente per fini “buoni”, democratici, morali, veramente popolari. La nuova nonviolenza pragmatica è un semplice strumento “extramorale”, da scegliere perché efficace, che trasforma i valori e gli ideali in semplici “temi” da dosare e diffondere attraverso la propaganda. Il pilastri ed i miti di questa nuova nonviolenza sono piuttosto l’efficacia, il “corporate branding”, il marketing, le tecniche manipolative, la disciplina, la gerarchia. Questa nuova nonviolenza pragmatica è stata applicata, a partire dal 2000, da molti gruppi di dissidenti sparsi prevalentemente in tutti i paesi dell’est europeo e dell’Asia Centrale. In quattro casi (Serbia, Ucraina, Georgia, Kirghizistan) i gruppi che hanno adottato questo strumento sono riusciti a organizzare altrettante rivoluzioni, le Rivoluzioni Colorate, che hanno sostituito la vecchia classe dirigente con discutibili “giovani élite filo-occidentali”.

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