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Strategie comunicazionali e linguistiche del videogame

Televisione, radio, cinema, stampa. I media classici che da decenni circondano le nostre vite e in mezzo ai quali nuove generazioni stanno nascendo, crescendo e sviluppando il loro modo di vedere e interpretare la realtà, stanno subendo e in parte hanno già subito una rivoluzione importantissima.
La digitalizzazione del messaggio, per la sua utilità pratica e per la sua maneggevolezza, si diffonde quasi come un virus contaminando e mutando la struttura e di conseguenza la superficie dei testi che ci circondano.
Nel campo musicale è un’evoluzione che ha raggiunto ormai la sua fase di maturità. Dai supporti analogici classici, come il vinile e la cassetta, si è passati al dominio incontrastato del CD, ma il mutamento è stato ben più profondo. Non solo il supporto finale è digitale, ma il suono dello strumento viene subito tradotto nel codice binario, già nella prima fase della registrazione in modo da renderlo più duttile e malleabile, pronto a qualsiasi modifica necessaria in tutte le altri fasi di lavorazione di un album (missaggio, aggiunta di effetti, masterizzazione, ecc.). E questo quando il suono non ha già di per sè natura digitale.
Nei tradizionali media visivi, soprattutto a causa degli attuali limiti tecnologici, questa mutazione non è ancora avvenuta. La traduzione di immagini analogiche in immagini digitali è già possibile, ma è ancora troppo dispendiosa, sia in termini di memoria che in termini pecuniari, per permetterne una diffusione di massa.
Ma questo ostacolo diventa sempre meno preoccupante col passare del tempo. I moderni calcolatori si fanno sempre più potenti e il loro costo, a parità di prestazioni, è sempre più basso. L’elevatissima obsolescenza dell’hardware è un fattore determinante che crea non pochi problemi a chi deve lavorare ( ma forse il termine giusto incomincia ad essere collaborare) con queste macchine che sembrano avere lo stesso problema degli androidi di BladeRunner: prestazioni sempre più stupefacenti ma una vita irrimediabilmente breve.
Intanto mentre attendiamo che l’alta definizione entri nelle nostre case, che il prezzo dei DVD diventi accettabile e che i cinema abbandonino le storiche bobine e si facciano inviare via satellite i film in forma digitale, qualcosa è già successo, qualcosa che è iniziato alla fine degli anni ‘50 e che tra alterne fortune e disavventure ha conquistato un suo territorio nell’immaginario comune dell’uomo occidentale, conquistando uno dei suoi spazi più preziosi: il tempo libero.
E’ il videogioco, ed ha una quadruplice paternità: nasce con finalità didattiche (il Tennis for Two di William A. Higinbotham nel 1958), come possibile applicazione ludica del computer (è il caso di Spacewar di Stephen Russel del 1962), come forma di intrattenimento casalinga (con Ralph H. Bear che ne intuisce le potenzialità commerciali, ne deposita il brevetto nel 1968 e crea nel 1972 l’Odissey Magnavox, la prima console della storia, destinata a scomparire poiché il mercato non era ancora pronto per comprendere una così radicale innovazione) e come forma di intrattenimento pubblico (Computer Space del 1971 e soprattutto Pong del 1972 creati da Noland K Bushnell, primo successo di massa del videogioco).

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7 INTRODUZIONE: IL VIDEODEOGIOCO COME NEW MEDIA. Televisione, radio, cinema, stampa. I media classici che da decenni circondano le nostre vite e in mezzo ai quali nuove generazioni stanno nascendo, crescendo e sviluppando il loro modo di vedere e interpretare la realtà, stanno subendo e in parte hanno già subito una rivoluzione importantissima. La digitalizzazione del messaggio, per la sua utilità pratica e per la sua maneggevolezza, si diffonde quasi come un virus contaminando e mutando la struttura e di conseguenza la superficie dei testi che ci circondano.1 Nel campo musicale è un’evoluzione che ha raggiunto ormai la sua fase di maturità. Dai supporti analogici classici, come il vinile e la cassetta, si è passati al dominio incontrastato del CD, ma il mutamento è stato ben più profondo. Non solo il supporto finale è digitale, ma il suono dello strumento viene subito tradotto nel codice binario, già nella prima fase della registrazione in modo da renderlo più duttile e malleabile, pronto a qualsiasi modifica necessaria in tutte le altri fasi di lavorazione di un album (missaggio, aggiunta di effetti, masterizzazione, ecc.). E questo quando il suono non ha già di per sé natura digitale.2 Nei tradizionali media visivi, soprattutto a causa degli attuali limiti tecnologici, questa mutazione non è ancora avvenuta. La traduzione di immagini analogiche in immagini digitali è già possibile, ma è ancora troppo dispendiosa, sia in termini di memoria che in termini pecuniari, per permetterne una diffusione di massa. Ma questo ostacolo diventa sempre meno preoccupante col passare del tempo. I moderni calcolatori si fanno sempre più potenti e il loro costo, a parità di prestazioni, è sempre più basso. L’elevatissima obsolescenza dell’hardware è un fattore determinante che crea non pochi problemi a chi deve lavorare ( ma forse 1 Sull’argomento vedi Negroponte, Nicholas., Being Digital, Alfred A. Knopf, New York, 1995 (tr. it. Essere digitali, Sperling & Kupfer, Milano, 1995) 2 Sull’argomento vedi Cadoz Claude, Les rèalitès virtuelles, Flammarion, 1994 (tr. it. Le realtà virtuali, Un manuale per capire. Un saggio per riflettere., Il Saggiatore, Milano, 1996) pp. 48-53

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Informazioni tesi

  Autore: Bruno Fraschini
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 1999-00
  Università: Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM)
  Facoltà: Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo
  Corso: Relazioni Pubbliche
  Relatore: Gianni Canova
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 277

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