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Le conseguenze della legislazione antiterrorismo sull'equilibrio tra i poteri nel sistema delle istituzioni americane.

A quasi dieci anni di distanza dagli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono, eventi che hanno sconvolto tutto il mondo, è sorta in me la curiosità su come quanto avvenuto avesse avuto ripercussioni profonde, se e in quale misura esse fosseroirreversibili, sul piano interno degli Stati Uniti, e su quali fattori si siano imperniate le iniziative statunitensi a livello internazionale, in quanto queste hanno coinvolto svariati Paesi. Ha avuto anche un ruolo la constatazione che pur con l’importante elezione di Obama a presidente degli Stati Uniti non ci si sarebbe in ogni caso potuto attendere uno sconvolgimento delle politiche di George W. Bush, e anzi come si vedrà esiste una sostanziale continuità.
Politiche che com’è ovvio che fosse hanno suscitato molte polemiche sia in ambito nazionale che internazionale. Gli “addetti ai lavori” si sono subito resi conto che la portata degli eventi dell’11 settembre aveva convinto l’Esecutivo statunitense della necessità di una forte azione di contrasto al terrorismo, che non esitasse a sacrificare la delicata sfera della tutela dei diritti fondamentali. Il terremoto non ha coinvolto solo quell’ambito, ma anche quello della separazione dei poteri, da sempre uno dei pilastri su cui si fonda la dottrina costituzionale statunitense. La presidenza di George W. Bush è forse quella che nella storia ha più polarizzato la vita politica statunitense: da una parte i cosiddetti neoconservatori (neocon), con il pieno sostegno all’azione del governo, dall’altra i liberal ma anche le associazioni non governative (come l’American Civil Liberties Union, che citeremo in questo testo), assolutamente ostili nei confronti dell’operato dell’ex governatore del Texas. Intellettuali e storici si sono interrogati sulla questione del giusto bilanciamento tra sicurezza nazionale e tutela dei diritti individuali, offrendo spesso un punto di vista negativo sul concreto agire dell’Esecutivo.
Altra questione è quella legata alla dottrina dello stato di emergenza (in cui gli Stati Uniti si trovano ininterrottamente dal 2001) e alla separazione dei poteri. L’analisi in questo caso si è concentrata sull’inadeguatezza della legislazione d’emergenza vigente, da una parte, e sull’inusitato ampliamento delle prerogative dell’Esecutivo, dall’altra.
Ma non è solo l’azione legislativa interna ad aver fatto parlare di sé: la cosiddetta dottrina Bush, con la rilevanza attribuita alla guerra preventiva e l’insistere sull’unilateralismo piuttosto che sul multilateralismo, hanno scatenato il dibattito anche in merito all’ambito internazionale delle politiche di Bush, vieppiù in un contesto grandemente modificato (e quindi in larga parte inedito) dalla globalizzazione. In un mondo profondamente segnato da essa è inevitabile che il nuovo “ambiente” eopolitico, le nuove sfide politiche, sociali ed economiche, non solo abbiano un impatto devastante, ma condizionino l’agire degli Stati, e così è stato nel caso degli Stati d’Uniti d’America e della lotta al terrorismo.

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6 CAPITOLO 1 LA “GLOBAL WAR ON TERROR” DEGLI STATI UNITI: PECULIARITA’ E PROBLEMI DI DEFINIZIONE 1.1 “Guerra” al terrore? All'indomani dei tragici eventi dell'11 settembre, urgeva naturalmente una risposta immediata da parte del governo degli Stati Uniti. La peculiarità di un attacco terroristico non è data soltanto dalla sua portata violenta, dal carico di vittime e dell'impatto psicologico che si porta dietro, ma sta anche nel fatto che non può essere catalogato né come un atto di guerra, né come crimine o reato. Difatti, per quanto concerne il primo punto, non si ha ovviamente a che fare con un'organizzazione statale dotata di sovranità, e la definizione di “guerra al terrorismo” non può apparire che retorica 9 (oltre che priva di fondamento giuridico). Altresì non si può parlare di vera e propria organizzazione criminale quando si ha a che fare con i terroristi. Qui la discriminante sta nei fini dell'azione terroristica: la sua è una minaccia, una destabilizzazione al senso di sicurezza collettivo, cosa piuttosto distante da un'organizzazione criminale, per quanto possa essere pericolosa. Sta di fatto però, e in questo sta il nodo centrale di questo primo capitolo, che la risposta data dal governo statunitense è stata quasi interamente militare, in due direzioni: primo, un’azione diretta contro l'Afghanistan, reo di aver ospitato, e dato rifugio a, i membri dell'organizzazione di Al Qaeda. Tra l'altro qui si osserva un allontanamento dal tradizionale concetto di responsabilità statuale, non essendo mai state fornite le prove di un collegamento tra Afghanistan e Al Qaeda, cosa che, ai sensi della risoluzione approvata nel 1974 dall'Assemblea Generale dell'ONU 10 , avrebbe configurato un atto di aggressione nei confronti degli Stati Uniti, legittimandone così l'azione militare (approfondiremo più avanti tale aspetto in questo capitolo). 9 Introduzione di A. Ferrara in B. Ackerman, La Costituzione di emergenza, Roma, Meltemi Editore, 2005, p. 11 10 Risoluzione 3314 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Definition of Aggression, 14 dicembre 1974, XXIX a sessione. Reperibile all'indirizzo: http://untreaty.un.org/cod/avl/ha/da/da.html

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