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La condizione umana in Hannah Arendt

Il novecento è stata l’epoca nella quale ha fatto la sua comparsa, anche se tra non poche critiche e fraintendimenti, il “pensiero femminile”.
Se da un lato è singolare fare questa distinzione, dall’altro, mi sembra quanto meno necessaria; infatti, evitando qualsiasi, a mio modesto avviso, inutile rivendicazione femminista, è indiscutibile che prima di allora sembrerebbe che nessuna donna abbia mai “pensato” ;ma soprattutto, e questo mi sembra l’aspetto più importante e altrettanto indiscutibile, che il contributo portato dalle donne sia stato originale rispetto alla millenaria storia della filosofia occidentale. La novità principale di queste pensatrici è stata quella di mostrare con forza, o forse dovrei dire, “semplicemente” dimostrare, come si possa praticare la filosofia rimanendo ancorati ai problemi della Terra senza esasperate derive metafisiche o astratte spiegazioni logiche.
Motivo quest’ultimo, che ha reso possibile, più di ogni altro aspetto delle loro complesse speculazioni, l’esclusione, da parte di alcuni addetti ai lavori, di queste pensatrici dal ristretto cerchio dei filosofi.
Questa è la cifra che accomuna il pensiero delle quattro pensatrici più celebri del novecento: Hannah Arendt (1906-1975), Simone Weil (1909-1943) , Simone de Beauvoir (1908-1986) e Maria Zambrano (1904-1991) .
In questo mio lavoro cercherò di concentrare la mia attenzione su Hannah Arendt, la cui vita si intrecciò non soltanto con gli eventi più tragici della storia del novecento, ma anche con quelli che furono i pensatori più straordinari di questo secolo; soltanto per citarne alcuni, Martin Heidegger, Karl Jasper, Walter Benjamin e Gershon Scholem. I quali tutti, chi per un verso chi per un altro, rimasero “ammaliati” da questa donna, tanto da non poter fare a meno di interloquire, discutere ed anche litigare, fino alla fine dei suoi giorni con lei.
In particolare, mi soffermerò su uno dei suoi libri, “Vita Activa”, nel quale, a mio avviso, siccome si concentrano più o meno tutti i temi più cari alla pensatrice, si può riuscire ad avere un’idea più dettagliata del suo pensiero.
Un pensiero, quello della Arendt, la cui forza è descritta bene da un’altra donna, la poetessa Julia Kristeva, in un libro di quest’ultima su di lei.
« … Rimane l’energia della Arendt che non smette di raccontare come l’essenza di chi si è non può essere reificata da se stessi” .
Nietzsche aveva invocato una filosofia della vita da viversi pienamente: “Permetto agli uomini ben riusciti di filosofare sulla vita”; “bisogna voler vivere i grandi problemi con il corpo e con la mente” . Hannah Arendt è a modo suo, forse, l’unica filosofa del XX secolo a realizzare questa filosofia della vita in quanto filosofia specificatamente politica, vissuta con il suo “essere riuscita bene” come donna e come ebrea. La sua opera di politica ne è la prova, così come la meditazione sulla vita raccontata, o sul racconto indispensabile alla vita, al tempo stesso sua condizione e suo doppio: poiché (la Arendt, con Aristotele, ne è persuasa) esiste solo la vita politica, e poiché (la Arendt ne è convinta con Agostino) non esiste vita (bios) che nella rinascita narrativa» .
Questo “pathos” descritto dalla Kristeva sarà pienamente realizzato da questa stra-ordinaria pensatrice, che sarà accompagnata per tutto l’arco della sua vita da quel Demone di cui parlava Socrate.
Quel Demone da cui sono posseduti soltanto i veri filosofi.

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INTRODUZIONE Il novecento è stata l’epoca nella quale ha fatto la sua comparsa, anche se tra non poche critiche e fraintendimenti, il “pensiero femminile”. Se da un lato è singolare fare questa distinzione, dall’altro, mi sembra quanto meno necessaria; infatti, evitando qualsiasi, a mio modesto avviso, inutile rivendicazione femminista, è indiscutibile che prima di allora sembrerebbe che nessuna donna abbia mai “pensato” 1 ; ma soprattutto, e questo mi sembra l’aspetto più importante e altret- tanto indiscutibile, che il contributo portato dalle donne sia stato originale rispetto alla millenaria storia della filosofia occidentale. La novità principale di queste pensatrici è stata quella di mostrare con forza, o forse dovrei dire, “semplicemente” dimostrare, come si possa praticare la filosofia rimanendo ancorati ai problemi della Terra senza esasperate derive metafisiche o astratte spiegazioni logiche. Motivo quest’ultimo, che ha reso possibile, più di ogni altro aspetto delle loro complesse speculazioni, l’esclusione, da parte di alcuni addetti ai lavori, di queste pensatrici dal ristretto cerchio dei filosofi. Questa è la cifra che accomuna il pensiero delle quattro pensatrici più celebri del novecento: Hannah Arendt (1906-1975), Simone Weil (1909-1943) 2 , Simone de Beauvoir (1908-1986) 3 e Maria Zambrano (1904-1991) 4 . 1 Lo stesso non si può dire riguardo alla poesia che le donne hanno praticato sin dagli albori di quest’arte, o della letteratura, dove pur non essendo altrettanto precoci, comunque, la comparsa del mondo femminile è di gran lunga precedente, alla loro presenza, nel campo della speculazione filosofica. Ed è singolare il fatto che il mondo femminile ha avuto, sia nell’epica che nella Tragedia classica, subito una dignità pari a quella del mondo maschile: si pensi alla grandezza di personaggi come, Elena, Clitennestra, Cassandra, Nausica, Penelope, nell’Iliade e nell’Odissea, o di figure, divenute veri e propri paradigmi della nostra cultura, come Antigone, Medea, o Elettra, scaturite dalla Tragedia greca. Un discorso a parte meriterebbero le cosìddette arti plastiche e la musica. 2 Filosofa, ebrea francese, il cui pensiero è sicuramente una speculazione a tratti religiosa, ma mai, specifica- tamente, metafisica.

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hannah arendt
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