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OGM sì, OGM no: le strategie di comunicazione esterna nel settore agrobiotecnologico - il caso Syngenta

La ricerca scientifica, come noto, muove dalla percezione di un’anomalia, di “qualcosa che va contro le attese”. In questo caso l’anomalia è costituita dall’assordante silenzio che si è creato intorno alle aziende impegnate nel campo agro-biotecnologico. Almeno nel panorama italiano, infatti, non c’è traccia apparente di comunicazione da parte delle multinazionali che commercializzano prodotti derivanti da Organismi Geneticamente Modificati.
A conferma dell’assunto per cui è impossibile non comunicare, questa indagine tende a svelare, portandolo in superficie, il sistema di relazioni che tali aziende sviluppano con il mercato, in attesa che la normativa in materia di OGM ne autorizzi la commercializzazione anche in Italia. Questa azione è condotta prevalentemente mediante strumenti di comunicazione cosidetti below the line, ossia caratterizzati da un’alta specificità dei contatti e dei contenuti e, di converso, da una ridotta estensione dei target di riferimento: in altri termini, canali alternativi ai mezzi di comunicazione di massa, quali congressi, tavole rotonde, newsletter, pubblicistica aziendale, seminari e workshop. In questo modo le aziende biotech intendono sfuggire alla definizione negativa che caratterizza gli OGM nell’ambiente esterno e soprattutto nell’arena mediatica, all’interno della quale il tema è spesso trattato con approsimazione e con profusione di stereotipi.
L’analisi della rappresentazione mediale del fenomeno-OGM è il punto di partenza della ricerca, che si sviluppa attraverso una case history: la ‘lente’ attraverso cui è osservato il fenomeno è l’esperienza di Syngenta Italia, azienda leader nel settore agro-biotecnologico, di cui è analizzata tanto la dimensione organizzativa quanto l’intera attività di comunicazione esterna. Il filo rosso dell’indagine consiste nell’adozione di una chiave interpretativa, di ispirazione semiotica, caratterizzata dal ricorso a un insieme interrelato di ‘puntelli teorici’ mediante i quali si intende restituire, trasposto sul piano dell’analisi, la complessità dei fenomeni indagati.

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1 INTRODUZIONE Come la storia della scienza testimonia, la ricerca scientifica muove tipicamente dalla percezione di una anomalia, di un paradosso, vale a dire di qualcosa che «passa accanto», che «va contro» il nostro sapere sulla natura e sul funzionamento delle cose. Una forma embrionale di vocazione ‘scientifica’, intesa come tensione verso la conoscenza, caratterizza per esempio lo sviluppo cognitivo del bambino, concretandosi nei continui ‘perché?’ che egli rivolge ai propri interlocutori, obbedendo all’eroico furore che spinge l’uomo alla conoscenza. Del resto, come afferma Merleau-Ponty, l’uomo è un «essere a due fogli» 1 : da un lato, è cosa tra le cose, dall’altro vede e tocca le cose stesse, si pone con esse in una relazione che va al di là del mero rapporto di prossimità, di co-presenza fisica; pertanto, all’interno dell’orizzonte fenomenologico, il percorso della conoscenza risulta marcato da ciò che il filosofo definisce «la passività della nostra attività» (Merleau-Ponty, 1969). ‘Passività’ che trae origine dall’incontro con la cosa, dalla ritenzione di tracce mnestiche relative a ciò che è altro rispetto al nostro sistema percettivo: grazie alla sedimentazione progressiva di tali tracce, ciò che è altro da noi è di volta in volta ricondotto a un’idea tipizzata, a uno schema. Tuttavia, l’interazione con il mondo esterno non costituisce esattamente un momento ‘euforico’ né può ritenersi del tutto ‘indolore’: il primo stadio della conoscenza, come argomenta il Leibnitz delle Meditationes de cognitione, veritate et ideis, si configura infatti come cognitio intuitiva, ossia come percezione di qualcosa che non è ancora conosciuto coscientemente ma che, attraverso il fluire della percezione, consente infine di giungere a una conoscenza ‘chiara’ e ‘distinta’. Ora, il percorso euristico sottostante il presente lavoro riproduce, nel suo incontro con il ‘mondo’, nelle incertezze e nelle oscurità che lo hanno scandito, l’iter cognitivo sopra delineato. Nello specifico, il movente per così dire ‘percettivo’ alla base della ricerca consiste nella ritenzione di una relazione problematica tra cibo e cultura. In effetti, la connessione tra un certo retroterra socio-culturale e le relative pratiche agro-alimentari si è andata progressivamente arricchendo di una gamma di significati eterogenei, in presenza di determinate contingenze sociali, politiche ed economiche, tra le quali va segnalata la crescente 1 M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, Milano, Bompiani 1969, pag. 153.

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