Autonomia collettiva e costo del lavoro
La tesi indaga sui modi e le tecniche di coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nel governo dell'economia e in particolare nel costo del lavoro attraverso esercizio dell'autonomia sindacale in funzione politica.
Nella prima parte si è esaminata l’autonomia sindacale, ossia quella particolare espressione dell’agire privato mediante la quale gli individui danno vita a formazioni sociali, che sono appunto i sindacati, costituzionalmente garantiti e riconosciuti prima dall’art. 2 e 18 e poi dall’art 39. Quest’ultimi, in un ordinamento pluriclasse come il nostro, devono essere liberi di agire come una forza politica e liberi soprattutto di scegliere se perseguire gli obiettivi di natura economica del governo centrale oppure contrastalo attraverso il conflitto collettivo.
È nel secondo capitolo che analizzo accanto alla contrattazione collettiva di tipo «classico» la c.d. contrattazione politica: Prassi che vede il potere esecutivo, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro seduti allo stesso tavolo, dove si legittima il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nel governo dell’economia in materia di mercato del lavoro, salari, contrattazione collettiva e organizzazione della previdenza sociale.
L'accordo tripartito del luglio 1993 è uno degli esempi di concertazione che interviene in maniera incisiva nella politica economica del paese mediante interventi su prezzi e tariffe, interventi per l’occupazione e per il mercato del lavoro, e delineando gli assetti contrattuali utili ai sindacati per normare le condizioni di lavoro.
Nella terza parte ritorna il tema dell’inattuazione del regime delineato nell’art 39 Cost. e del difetto di qualsiasi intervento diretto del legislatore ordinario sui livelli retributivi, in tale contesto l’art 36 è venuto assumendo un valore di precettività e immediata applicabilità ai rapporti contrattuali per via giudiziale, che all’origine era probabilmente estraneo agli intendimenti dell’assemblea costituente. Si discute se la regola giurisprudenziale del riferimento alle tariffe collettive come parametro per la determinazione della retribuzione sufficiente sia rigida o meno, ossia se siano possibili deroghe in pejus degli standard retributivi in presenza di circostanze particolari, quali il livello più basso delle retribuzioni normalmente correnti nella zona, le dimensioni dell’azienda o l’eventuale suo carattere artigiano.
Termino la mia trattazione sull’analisi di due questioni molto importanti, la prima è quella della riforma del sistema contrattuale, che passa attraverso sia l’ammodernamento dei contratti nazionali di categoria, spesso obsoleti e antiquati, sia attraverso una ridisegnazione dei rapporti tra contratto nazionale e quello aziendale in modo che ci sia un intelligente e mirato decentramento negoziale in materie dove non c’è pericolo di squilibri sociali nazionali e creare così un “decentramento che parta dal centro”.
Per quanto riguarda la seconda questione, quella delle relazioni sociali, occorre creare le condizioni per la stipulazione di un nuovo grande patto di concertazione, sulla falsariga metodologica dell’accordo del luglio 1993, che estenda erga omnes i contratti collettivi, che attribuisca al contratto nazionale di lavoro una funzione di disciplina di trattamenti minimi e inderogabili su alcuni istituti essenziali, rinviando con apposite clausole alla contrattazione decentrata l’integrazione e la modificazione delle clausole stabilite dal contratto nazionale sulla base di chiari limiti determinati dal contratto nazionale stesso.
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Informazioni tesi
Autore: | Antonio Castagnini |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli studi di Napoli "Parthenope" |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Relatore: | Marco Esposito |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 75 |
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