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La politica militare della Spagna di Filippo II dopo la battaglia di Lepanto

La guerra e tutte le attività ad essa connesse concorsero in misura notevole allo sviluppo e al rafforzamento degli Stati moderni nell’Europa del XVI secolo. La formazione degli eserciti permanenti e delle milizie nazionali, la ricerca di nuove tecnologie belliche e lo studio di tattiche di attacco e di difesa innovative, lo sforzo finanziario necessario per adeguare il proprio apparato militare alle recenti invenzioni, contribuirono a potenziare la centralizzazione amministrativa e l’organizzazione burocratica e fiscale, che costituivano il fondamento del potere assoluto delle monarchie nazionali.
La monarchia spagnola, in seguito all’unione delle due Corone, al completamento della reconquista con la presa di Granada e soprattutto alla scoperta dell’America, ebbe a disposizione cospicui mezzi finanziari per sviluppare le nuove metodologie belliche ed eccellere in questo campo. Grazie soprattutto a Carlo V, con il quale la Spagna accarezzò il sogno di essere alla guida di un impero universale, e a Filippo II, impegnato militarmente per tutta la seconda metà del secolo sia nel Mediterraneo, contro i musulmani, sia in Europa contro le forze protestanti.
Lo scopo di questo lavoro consiste, nella prima parte, nell’analisi di tale preponderante aspetto della politica spagnola, con particolare riguardo al periodo successivo alla battaglia di Lepanto. Alla metà degli anni Settanta, infatti, si ebbe un mutamento decisivo nella politica militare di Filippo II, con il passaggio da una tattica indirizzata soprattutto alla difesa dagli attacchi nemici e al contenimento delle rivolte interne, ad una più offensiva volta alla conquista di altri territori, nell’ambito di una politica di guerra preventiva. L’esposizione degli avvenimenti riguardanti la guerra nel Mediterraneo e nei Paesi Bassi, la conquista del Portogallo e i conflitti con la Francia e l’Inghilterra procede di pari passo con la presentazione e la descrizione delle tecnologie militari utilizzate per la salvaguardia dei territori minacciati e per l’occupazione di quelli ostili.
La seconda parte della tesi è incentrata invece sull’analisi della politica militare spagnola in uno dei suoi domini periferici, il Regno di Sardegna, tra i più esposti alle minacce nemiche, sia per la sua posizione al centro del Mediterraneo, che lo pose in prima linea nella guerra contro i turco-barbareschi, sia per la palese povertà strutturale. La preoccupazione della Spagna, sin dall’epoca dei Re Cattolici, è stata quella di intervenire a sostegno delle fatiscenti strutture difensive isolane, per limitare i danni provocati dalle continue incursioni barbaresche e per evitare che l’isola, di grande importanza strategica, cadesse in mano turca o francese. Provvedimenti efficaci furono presi tanto da Carlo V, con l’adeguamento e il potenziamento delle cinte difensive delle piazzeforti di Cagliari e Alghero, quanto da Filippo II, con il completamento delle fortificazioni urbane, l’istituzione e l’armamento di una milizia territoriale e la costruzione di un sistema di torri costiere.

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Capitolo primo La Spagna, una nazione in guerra La vocazione guerriera della Spagna - La politica estera di Filippo II - La “guerra giusta” - La “guerra su più fronti” - I numeri della guerra - La composizione dell’esercito - Le fortificazioni - La crisi di fine secolo In Spagna, sin dall’epoca dei Re Cattolici e dalla conquista di Granada, la guerra ebbe larga parte nella formazione e nello sviluppo di un moderno stato guerriero 1 . Per la Corona le imprese militari furono un valido espediente per controllare i ceti, per dominarli, per attenuarne i contrasti, per mobilitarne il consenso e la partecipazione, per trasmettere valori come la gloria e la promozione sociale 2 . Era fondamentale dare risalto a tali valori, particolarmente in un’epoca in cui il commercio e le prospettive di ricchezza offerte dal Nuovo Mondo, sottraevano ogni anno alla Spagna migliaia di giovani intraprendenti 3 . Con Carlo V (1516-1556) e Filippo II (1556-1598), la Castiglia confermò la propria vocazione guerriera e si delineò come una nazione in cui la partecipazione alla milizia costituiva una tappa obbligata per una parte consistente della popolazione maschile, non solo aristocratica 4 . In Spagna, infatti, era molto forte la convinzione che le armi nobilitassero l’uomo e la milizia offriva anche ai ceti più bassi l’occasione di innalzare il proprio livello sociale; più che il soldo, o la possibilità di fare bottino, ciò che spingeva dunque i castigliani ad intraprendere questo faticoso mestiere era l’opportunità, in teoria offerta a tutti, di scalare la gerarchia militare, fare carriera e avanzare socialmente 5 . Dal 1525 al 1640, nessuna guerra di rilevante importanza interessò il territorio spagnolo e nessun esercito straniero invase i suoi confini. La milizia castigliana fu impiegata quasi ed 1 R. PUDDU, Il soldato gentiluomo. Autoritratto di una società guerriera: la Spagna del ‘500, Bologna, Il Mulino, 1982, p. 117. 2 Ibidem. 3 La scoperta dell’America e lo sfruttamento delle sue risorse fu determinante per la politica militare della Spagna, soprattutto nell’epoca di Filippo II. Ma è innegabile che il continuo salasso di uomini verso le nuove terre impoverì sensibilmente il paese, sia dal punto di vista demografico, sia dal punto di vista economico. Cfr. A. PAGDEN, Signori del mondo. Ideologie dell’impero in Spagna, Gran Bretagna e Francia 1500-1800, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 116-118 e J. VICENS VIVES, Profilo della Storia di Spagna, Torino, Einaudi, 1966, p. 113. 4 R. PUDDU, Il soldato gentiluomo…cit., pp. 148-151. 5 Ibidem.

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