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Il capitale di vigilanza degli intermediari bancari italiani ed europei: analisi e regolamentazione

La teoria economica ha da sempre affidato alla regolamentazione il ruolo di correggere i possibili fallimenti di mercato. Tramite la regolamentazione del sistema finanziario si cerca di raggiunge diversi obiettivi: 1) la stabilità del sistema finanziario, che può essere raggiunta tramite la stabilità del potere d’acquisto e tramite adeguate caratteristiche di liquidità e solvibilità degli intermediari finanziari; 2) l’eliminazione di possibili asimmetrie informative, evitando che gli agenti economici abbiano quantità e qualità di informazione diverse, cercando di attuare la massima trasparenza, inteso come completezza dell’informazione, e dando la possibilità agli investitori e ai risparmiatori di conoscere i rischi realmente intrapresi dai prenditori di fondi; 3) la tutela del risparmio, che è necessaria poiché, oltre ad avere minori informazioni, i risparmiatori hanno anche una minore capacità di utilizzare le informazioni disponibili; 4) limitare le possibili azioni di moral hazard che possano far assumere rischi eccessivi ai prenditori di fondi.
In particolare, l’attività bancaria si distingue dall’attività degli altri intermediari finanziari principalmente per due caratteristiche: da un lato, parte rilevante delle sue passività ha natura monetaria, ed è normalmente accettata come mezzo di pagamento, dall’altro lato, l’attivo del suo bilancio è costituito in gran parte da prestiti non liquidi. Quindi, le banche operano attraverso una significativa trasformazione delle scadenze che potrebbe rendere difficoltoso onorare gli impegni presi e garantire la liquidità anche alla classe più debole dei finanziatori, ovvero i depositanti. Per questo motivo, e per l’importante ruolo che il comparto bancario ha acquisito nel tempo all’interno del sistema finanziario, specialmente nei paesi bank-oriented come l’Italia, si delineò la necessità di qualche forma di controllo pubblico sull’attività delle stesse.
A partire dagli anni ottanta il patrimonio costituisce il principale punto di riferimento per le valutazioni dell’autorità di vigilanza ai fini della stabilità delle banche. Su di esso è stato costruito il complesso di norme e regolamenti riconducibili all’attività del Comitato di Basilea. L’obiettivo di questa regolamentazione sulle banche è quello di evitare o diminuire l’effetto che eventuali crisi finanziarie potrebbero avere sul comparto bancario e sull’economia in generale. Dal 1988 ad oggi numerose modifiche sono state apportate sull’originario accordo sul capitale delle banche, sia per quanto riguarda la misurazione dei rischi, sia per la stessa composizione del patrimonio. Ma nonostante la presenza di un sistema di vigilanza prudenziale volto a correlare l’entità dei rischi con la dotazione patrimoniale, si è dimostrato negli ultimi anni come le perdite potenziali, in presenza di scenari non previsti dai modelli quantitativi di stima dei rischi, possano assumere un’entità tale da ridurre notevolmente i buffer di capitale, anche in breve periodo. Infatti la crisi finanziaria ha ricordato l’importanza del patrimonio delle banche, come presidio a fronte delle perdite inattese.
In questa sede non si vogliono esaminare le cause della crisi, piuttosto si vorrebbero evidenziare le implicazioni della stessa sul capitale delle banche. L’intento è quello di capire cosa potrebbe non aver funzionato nel ruolo di protezione del capitale di vigilanza. Si vuole riflettere sul funzionamento del capitale bancario, in particolare quello di vigilanza, e cercare di capire le misure recentemente introdotte per fronteggiare le emergenze delineate e gettare le basi di un sistema finanziario più robusto e resiliente . Il tema dell’adeguatezza patrimoniale, quindi, è di particolare rilievo in questo caso, su di esso si sono focalizzate l’attenzione di operatori, mercati e autorità. Negli ultimi anni spesso si è sentito parlare della solidità del sistema bancario italiano e di come abbia ben reagito alla crisi finanziaria. Per questo, nel lavoro presentato si cerca anche di individuare le differenze di operatività tra le banche con sede in Italia e le principali banche europee.

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4 INTRODUZIONE L’attività bancaria si distingue dall’attività degli altri intermediari finanziari principalmente per due caratteristiche: da un lato, parte rilevante delle sue passività ha natura monetaria ed è normalmente accettata come mezzo di pagamento, dall’altro lato, l’attivo del suo bilancio è costituito in gran parte da prestiti non liquidi. Quindi, le banche operano attraverso una significativa trasformazione delle scadenze che potrebbe rendere difficoltoso onorare gli impegni presi e garantire la liquidità anche alla classe più debole dei finanziatori, ovvero i depositanti. Per questo motivo, e per l’importante ruolo che il comparto bancario ha acquisito nel tempo all’interno del sistema finanziario, specialmente nei paesi bank-oriented come l’Italia, si delineò la necessità di qualche forma di controllo pubblico sull’attività delle stesse. L’idea di una regolamentazione finanziaria ha avuto sempre maggiore importanza dalla più grave forma di fallimento di mercato del XX secolo, ovvero con la Grande crisi, da allora è divenuta sempre meno plausibile la teoria liberista della “mano invisibile del mercato” e il dibattito si è centrato sul quantum di regolamentazione e non sul se la regolamentazione fosse opportuna. In particolare, all’interno della vigilanza bancaria vennero inizialmente enfatizzati i “controlli strutturali” che caratterizzarono la Vigilanza strutturale, controlli che rappresentano delle barriere all’entrata e che hanno avuto come risultato quello di ridurre le spinte competitive di un settore che di per sé rappresenta una predisposizione naturale a tenersi lontano dalle condizioni di concorrenza perfetta. Il quadro regolamentare uscito dalla grande crisi si è profondamente modificato nel corso del tempo, così da sentire la necessità di abbandonare i controlli ti tipo strutturale, il denominatore comune delle trasformazioni normative che si sono succedute nel corso del tempo è stato lo sforzo di aumentare progressivamente la concorrenza nel settore bancario. In uno scenario dominato dalla liberalizzazione dei movimenti di capitale, dalla crescente integrazione fra mercati e dall’aumento dei titoli detenuti dai risparmiatori si delineò un graduale abbandono dei controlli strutturali per aumentare la concorrenza nei mercati ed adottare una vigilanza di tipo prudenziale. Quest’ultima riguarda l’uso di strumenti di controllo dei rischi bancari. In questo contesto l’ammontare di capitale detenuto è diventato il perno della disciplina comune degli intermediari finanziari. A partire dagli anni ottanta il patrimonio costituisce il principale punto

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