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L'odore del sangue di Goffredo Parise

“L’odore del sangue” di Goffredo Parise è la storia raccontata in prima persona da uno psicanalista di mezza età che assiste all’amore della moglie coetanea per un giovane fascista.
Filippo, io narrante molto vicino a Parise, subito afferma di aver percepito l’odore del sangue in Vietnam, e di averlo poi risentito quando Silvia, la moglie, inizia a parlargli del suo rapporto con Ugo, l’amante fascista. È un odore di secrezioni marine e di zucchero umano, latteo, nauseabondo ed esilarante. Il senso dell’odore del sangue inizia a chiarirsi grazie ad un saggio di Barthes, Michelet. Secondo Barthes il sanguigno è tipico, nell’opera di Michelet, delle donne rivoluzionarie, piene di energia e di ardore. L’esangue, invece, è tipico dell’uomo raziocinante, la cui energia è l’elettricità, la forza galvanica. L’esangue è, per Barthes, anche il vuoto, lo sterile. Filippo è sessualmente attivo, ha una giovane amante, ma soffre di una noia profonda e non ha figli. L’odore del sangue giunge per lui come un elemento perturbante. Lo percepisce come l’odore della vita, della gioventù.
Ugo è un figlio della borghesia arricchita, di quegli omologati postmoderni di cui diceva Pasolini. Egli, secondo i parametri critici di Girard, rappresenta il “rivale”, un punto all’interno del desiderio triangolare che scatena nel soggetto desiderante sentimenti contrastanti. Filippo, grazie alla presenza del terzo, l’amante, si interessa alla moglie, e quindi il desiderio della moglie passa attraverso l’amante di lei. Inoltre Filippo nutre per l’amante una sorta di odio che, sempre secondo Girard, cela una attrazione (che la psicanalisi ha definito come attrazione omosessuale), addirittura una venerazione. Filippo è interessato soprattutto a conoscere la vita sessuale di Silvia e Ugo, e la sua diventa quindi attrazione e venerazione verso il fallo di Ugo, oggetto di sacralità.
Parise chiarisce in un punto del romanzo come il “fascinum”, il membro maschile, rappresenti l’energia, la forza vitale. Ugo è la divinità, e Filippo, seguendo il “desiderio metafisico” di Girard, desidera secondo questa divinità, rinunciando alla individualità. Attraverso il “desiderio metafisico” si preannuncia la possibilità di attingere alla sacralità, poiché l’uomo non può rinunciare al sacro, all’infinito. L’esperienza erotica, soffio vitale cui si aggrappa Filippo, secondo Bataille è negazione dell’isolamento dell’io e possibilità di attingere, attraverso l’altro, al sacro.
Verso la moglie Filippo cela un sentimento di odio profondo, talvolta sembra che egli voglia ucciderla, e la comprensione di questo punto è la svolta ermeneutica del testo. Dietro questo odio c’è il classico conflitto maschio-femmina che era al centro di un acceso dibattito negli anni Settanta. Per esorcizzare la paura maschile è necessario uccidere la donna castrante, ed è qui che si innesta il rituale sacrificale.
Il rituale è complesso. In una nota Girard afferma che Edipo è esposto da Laio come capro espiatorio, e questo è stato dovuto al fatto che l’esposizione dei bambini deboli o malformati è il fondamento unanime di tutti i sacrifici. Filippo-Parise è vicinissimo a questo Edipo. Parise quando scrive è malato, e da piccolo, come Edipo, è stato abbandonato dal padre, e per tutta la vita ha paventato di avere una fibra ereditaria molto debole. In una società sacralizzata sarebbe quindi una vittima espiatoria ideale. Ma egli vive in una società, quella postmoderna, che è desacralizzata. La finzione romanzesca gli permette di affrontare il problema, elevandosi da oggetto di sacrificio a soggetto sacrificante. Ma nella finzione è incapace di compiere il sacrificio direttamente. Il fallo di Ugo diventa l’oggetto sacro che permette di compiere il sacrifico, difatti è Ugo con il suo branco a commettere il sacrifico al posto di Filippo. La morte di Silvia è il sacrificio utile a risolvere la crisi sacrificale, la crisi che è il disordine dell’ingresso del rivale che Filippo ama e odia in quanto gli ha palesato il timore dell’impotenza e della sterilità, ma che è anche la crisi di una società, quella degli anni Settanta, pregna di violenza e di sangue.
Morta Silvia, Filippo finisce per sposarsi con Paloma ed avere dei figli. Risolta la crisi sacrificale, Filippo non è più impotente, sterile. Nell’eterna lotta tra maschio e femmina il misogino Parise, ai confini con la morte, si è dato la possibilità di sfuggirla con la menzogna romanzesca.

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3 Introduzione L’odore del sangue, opera postuma di Goffredo Parise, è edito dalla casa editrice Rizzoli (a cura di Cesare Garboli e Giacomo Magrini) nel mese di giugno del 1997, a quasi undici anni dalla morte dell’autore. Il fine di questo lavoro è di analizzarne i contenuti, avvalendosi della bibliografia critica e di opinioni personali sul libro. Goffredo Parise nasce a Vicenza nel 1929 da Ida Wanda Bertoli e da N.N. Nel 1937 la madre sposa il giornalista Osvaldo Parise, il quale sei anni dopo dà il proprio cognome a Goffredo, adottandolo. All’età di diciotto anni, Parise inizia la stesura del suo primo romanzo, Il ragazzo morto e le comete, pubblicato nel 1951 presso l’editore Neri Pozza. Lo sfondo dell’opera è autobiografico: c’è la piccola cittadina veneta, semidistrutta dai bombardamenti, con tanto di macerie e caoticità post-bellica, e ci sono i sopravvissuti, un brulicare di personaggi fisicamente e mentalmente segnati. Ma su questo sfondo neorealista s’innesta una storia che oscilla tra realtà e fantasia, cosparsa come da una fuliggine onirica, in un equilibrio reso stabile dall’empito lirico che traspare, più che dallo stile ancora immaturo, dai protagonisti e dalle loro ‘fiabesche’ avventure.

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