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Prospettive analitiche di game design

La tesi approfondisce lo studio sul medium videoludico, andando ad esplorare in profondità la figura del game designer in relazione alle sue mansioni, con un occhio di riguardo alle componenti narrative transmediali interrelate alla costruzione spaziale dei livelli, alle regole ludiche e al concetto di simulazione.
Il primo capitolo, di carattere introduttivo, illustra l’evoluzione del concetto di gioco, inteso fin dalle sue più profonde accezioni sociologiche/antropologiche, per arrivare al paradigma innescato dai nuovi media, e quindi al videogioco in ogni sua componente intrinseca ed evolutiva.
Dopo il primo strato di superficie, il secondo capitolo mira all’approfondimento dei game studies, con le celebri lotte tra le differenti linee di pensiero. Gli scontri tra narratologi, semiologi, e ludologi sono certamente famosi all’interno della cultura ludica della Torre d’Avorio. Questa seconda sezione si conclude con l’analisi di altre “visioni accademiche”, voci fuori dal coro, interessanti nelle loro disquisizioni volte a manifestare nuove prospettive di analisi del medium, quali la "software art" e il concetto di "v-ideologia". A dominare le scene tuttavia, rimane comunque l’ottica del creatore di mondi, vero protagonista della tesi, nonché epicentro di qualsivoglia dibattito su questo medium.
L'ultimo capitolo, il più corposo, rappresenta un territorio raramente affrontato anche in altri elaborati: la figura del demiurgo e le problematiche delle sue scelte, la necessità di un vocabolario onnisciente, i processi creativi e realizzativi, i mondi artefatti e le storie che ne tappezzano le mura e le fondamenta.
Narrazione e gameplay, spazio e regole, giocatore e mondi, medium e arte: parole chiave all’interno di un universo di variabili dal rapporto tanto stretto quanto fragile. Il mio tentativo, fin dalla prima pagina, è stato quello di porre enfasi sull’autonomia del medium e sulla sua specificità costituente; se pur vero che trae spunto e derivazioni dai suoi fratelli più tradizionali, la forza e il vigore che manifesta, sono senza ombra di dubbio, doti tipiche della sua indipendenza artistica.
L'ultima parte si focalizza sul termine "retorica procedurale" di Ian Bogost, ovvero la capacità del videogame di veicolare concetti ed emozioni del mondo reale, attraverso la dinamicità del gameplay, in quanto fondamento principale nella prassi ludica. Le conclusioni auspicano quindi a una convergenza tra i fattori simulativi, presi nella loro manifestazione più materiale e concreta, insieme a quelli più interiori e profondi, intesi come il riflesso delle condizioni umane nel mondo raffigurate sotto forma di sogni digitali.

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INTRODUZIONE: Avvento di un Nuovo Senet Quando si parla di videogiochi, incombe sempre il rischio di una dura reclusione negli anfratti più bui della cultura, in quella che di norma viene volgarmente definita “popolare”. Questo perché i giochi non sono assolutamente degni di essere considerati qualcosa di potentemente evocativo, capaci di veicolare messaggi e forze che definirei sovrannaturali, quanto invece delle mere forme espressive ritenute inferiori a cardini sociali quali la letteratura, il cinema e l’arte tout court; passatempi per nerds, asociali stereotipi che masticano estasiati la luce della tecnologia. Così facendo, tali artefatti vengono brutalizzati da chi li ritiene che in fondo non siano nient’altro che giocattoli infantili, sperimentati voracemente da chi affetto da una costante Sindrome di Peter Pan. Viene da ridere, pensando che nel 3500 A.C. in Egitto fosse molto in voga un gioco da tavolo capace di porsi oltre a una semplice nozione di “gioco”, e di ergersi invece ad una delle esperienze più antiche mai ricordate e al contempo oggi dimenticate. Il Senet, un insieme di piccole sculture e materiali, il cui funzionamento, di estrema importanza per la società di quei tempi, nascondeva nelle sue procedure la raffigurazione del ponte tra il mondo dei vivi e l’aldilà. La sua presenza nel Libro dei Morti ne lascia ben intendere la potente carica spirituale, un incantesimo che raccoglieva nelle sue regole una forza superiore ad una semplice rappresentazione della vita e della morte, un potere simbolico trasmutato piuttosto a totem della trascendenza corporea: chi voleva trasmigrare nel regno ultraterreno, doveva prima giocare contro un avversario invisibile per potervi accedere. Il Senet è una sorta di leggenda nel game design, una favola oscura e indicativa di terribili fatalità: le sue regole sono andate perdute e il suo messaggio è finito letteralmente nella Duat, nell’oltretomba della dimenticanza: “senza le regole, il gioco non può parlare, e il suo messaggio [...] è andato. Senet, senza le sue 1 regole, è solo una collezione di pezzi graziosi”. Perché tutto questo è connesso all’odierno game design? Semplice: noi ci accontentiamo della superficie, preferiamo non scavare appresso alle radici e non vogliamo sporcarci le mani con puerili frivolezze fanciullesche. Desideriamo solamente osservare una facciata, ciò che appare e non ciò che è nascosto sotto discorsi inerenti la pratica videoludica nella cultura e nella società. Questa tesi cercherà quindi di avvicinarsi alla fine del baratro, laddove il moderno Senet cerca di emergere con splendore e immaginazione. Il videogame è oramai ben insito nella cultura sociale del nostro tempo: i mondi 1 Humble, Rod. “Game Rules as Art” 2006 www.escapistmagazine.com 4

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