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La percezione del tempo: basi neurali e teorie cognitive

Caratteristica propria dell'uomo è la capacità di astrarre dal sensibile, alla ricerca delle verità nascoste, ponendosi quelle che – con un pizzico di ironia – sono definite “domande esistenziali”: quella sulla natura del tempo è senza dubbio una di queste. La tesi indaga che cosa sia la percezione del tempo e quale valore essa abbia per noi esseri umani; quali strutture cerebrali la implementino e quali modelli siano stati proposti per spiegarne il funzionamento; propone infine un modello in grado di unificare tutte le scoperte e le proposte fin qui avanzate, spiegando l'effetto che disturbi della percezione del tempo possano avere su malattie come il Parkinson, la schizofrenia, l'ADHD.

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1.0 – INTRODUZIONE: IL TEMPO, LA SUA PERCEZIONE «Che cos’è dunque il tempo? Quando nessuno me lo chiede, lo so; ma se qualcuno me lo chiede e voglio spiegarglielo, non lo so. » (Agostino d'Ippona, Confessiones XI, 14, 17: 20, 26; 26, 33). 1.1 – Il tempo nella filosofia e nella scienza – il problema del tempo: caratteristica propria dell'uomo, in grado di differenziarlo da ogni altra creatura con cui egli è fin qui entrato in contatto, è la capacità di astrarre dal sensibile e dall'immediato alla ricerca delle verità nascoste, ponendosi quelle che – con un pizzico di ironia – sono definite “domande esistenziali”: quella sulla natura del tempo è senza dubbio una di queste. Possiamo infatti dire di sapere cosa sia il “tempo”? Ne abbiamo senza dubbio una certa familiarità: lo sentiamo continuamente scorrere e giorno dopo giorno ne constatiamo gli effetti su tutto ciò che ci è caro; nonostante ciò, non siamo in grado di definirlo senza provare al tempo stesso un senso di insoddisfazione, come se ci fosse sfuggito un qualcosa di indefinibile. ¨ per questo motivo che sono state elaborate nella storia del pensiero umano così tante teorie circa la sua natura: loro caratteristica comune è di cercare di sottrarlo alla pura percezione soggettiva, oggettivandolo in un concetto per noi piø semplice da comprendere, quello dello spazio. Il problema del tempo è stato in questo modo sostituito dal problema grafico di quale forma sarebbe opportuno dargli qualora lo si volesse rappresentare per iscritto: lineare o circolare? La prospettiva piø vicina al sentire comune di noi occidentali è senza dubbio quella scientifico- aristotelica, che concepisce il tempo come l'alternarsi del ciclo di causa-effetto, dunque immaginabile come una linea che proceda dal passato al futuro: l'idea che anima questa rappresentazione è che il tempo consista in ultima istanza con il divenire stesso, motivo per cui nell'ipotetico momento in cui il ciclo delle cause e degli effetti avrà fine si dovrà constatare anche la fine del tempo stesso. In realtà all'interno di questa prospettiva lineare le posizioni su come esso debba essere concretamente rappresentato sono molte: se sia meglio disegnare una retta, ovvero se il tempo e la causalità siano ingenerati ed eterni; o una semiretta, alla cui origine si ponga una “causa incausata” analoga al “motore immobile” aristotelico ma dallo scorrere infinito; oppure un segmento, forgiato da un'entità creatrice –l'Eterno – e destinato a scomparire in esso. Di stampo completamente differente è invece la rappresentazione circolare del tempo, concretizzatasi nel ciclo dell'eterno ritorno. In occidente questa prospettiva è stata elaborata da Anassimandro – per il quale causa del suo trascorrere sarebbe il periodico tentativo compiuto dai contrari (il caldo ed il freddo, il secco e l'umido, la salita e la discesa e via dicendo) di sottomettersi reciprocamente – ma è a Nietzsche che se ne deve la piø completa definizione: per il filosofo 4

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