Il fuoco tra natura e cultura. Analisi dell'uso sociale del fuoco nella manipolazione del paesaggio
Lo studio che ho svolto ha riguardato l’analisi sociale di tecniche di manipolazione dell'ambiente attraverso il fuoco per ottenere obiettivi specifici come il miglioramento delle caratteristiche fisiche del terreno attraverso la liberazione di accumuli di senescenze soffocanti per i nuovi germogli e quindi la selezione della biodiversità a scopi in primis economici legati alle economie rurali locali, e poi nel cambiamento culturale post industriale, anche ecologici. L’uso del fuoco a questi scopi dipende da decisioni di tipo sociologico implicanti una profonda conoscenza del luogo, delle condizioni meteo-rologiche e di come esso attua per poterlo utilizzare senza nuocere. Per cui per l’antropologia queste tecniche, molto comuni all’interno di economie rurali pastorali, selvicolturali o legate alla lavorazione delle erbe palustri, sono estremamente interessanti. Anche in relazione alla lettura storica evolutiva culturale legata a quella degli ambienti caratterizzati da clima mediterraneo, per cui ad oggi si parla di emergenza incendi legati a quello che è stato definito il paradosso del fuoco: se nei Paesi in via di sviluppo il fenomeno principale è quello della riduzione delle superfici coperte da boschi e il loro progressivo degrado; in molti Paesi occidentali la superficie forestale risulta in progressiva crescita. Ma questo processo è legato soprattutto all’abbandono delle attività rurali e l’imporsi dell’industrializzazione e dell’agricoltura intensiva. Tali conseguenze sono dunque il risultato di scelte maturate più che altro in settori economici e non il risultato di politiche di tutela dell’ambiente, causando perdita di habitat preziosi soprattutto umidi e pericolo di incendi incontrollati. Possiamo dire che, culturalmente, è stato nel XIX secolo che il fuoco è divenuto motivo di controversia centrale e contraddittoria. La visione negativa del fuoco si è creata a livello urbano passando dai leader accademici, politici e commerciali dove la vita rurale non è stata rifiutata ma romanticizzata ed esteticizzata, all’interno di quegli Stati favorevoli al controllo politico ed economico dell’uso del terreno. Diciamo che il cambiamento di approccio all’ambiente in occidente è iniziato intorno al sedicesimo secolo, quando avviene, sempre a livello categoriale l’opposizione del concetto di cultura a quello di natura.Natura e cultura però, non rappresentano di per sé un’opposizione; sono piuttosto i modelli cognitivi emici (relativi alla cultura locale) ad essere spesso in opposizione con quelli etici (della cultura diffusa). Il fuoco utilizzato come strumento di gestione del paesaggio infatti presenta una storia lunga quasi quanto quella dell’uomo come ci confermano gli studi sul carbone, testimonianza esatta di passati fuochi archeo-antra-cologici. Si tratta quindi di pratiche sperimentate e confermate nel tempo perché possano essere semplicemente accantonate. Il fatto è che la domanda attuale, relativa alla tutela dei paesaggi riguarda se sia giusto e sufficiente conservarli proteggendoli dalla mano dell’uomo, una volta abbandonati a seguito dell’esodo rurale post industriale. Promuovere la conoscenza ecologica tradizionale attraverso i mezzi di ricerca antropologica fa sì che lo sviluppo sostenibile o di tutela della biodiversità sia sentito nella sua componente culturale perché il problema del degrado ambientale di dimensioni globali ha bisogno di soluzioni pensate e realizzate su scala locale anche per l’economicità degli strumenti e metodi impliciti; aderenti alla cultura del fuoco secco identificata dalla Ribet, che non si avvale dell’uso di acqua. Si tratta del principio del combattere il fuoco con il fuoco. Per questo, Paesi come l’Australia e gli Stati Uniti e disposizioni europee quali il progetto Fire Paradox1, sembrano mantenere una particolare attenzione alle diverse tecniche tradizionali locali a favore di quello che è, come lo ha definito Ribet, il fuoco ri-trovato. Nelle culture rurali infatti, non si suole creare limitazioni artificiali al fuoco ma si cerca di cogliere il momento opportuno per mantenersi vicini ad esso in modo che persegua determinati obiettivi già posti, prescritti. Se l’industrializzazione ha portato dunque, ad allontanare, anche in termini di autorità, i detentori autoctoni di queste pratiche, è necessario recuperare il dialogo nei confronti di chi ha detenuto localmente tale sapere; pena di ciò è la perdita del sapere culturale implicita in tali pratiche e una incompleta educazione ambientale, oltre che antropologica.
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Informazioni tesi
Autore: | Elena Razzoli |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2009-10 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | interfacoltà Lettere e Filosofia e Scienze della Formazione |
Corso: | Scienze Etno-antropologiche |
Relatore: | Nadia Breda |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 249 |
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