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Immigrazione e democrazia: l'esperienza italiana in una cornice internazionale

Le migrazioni vero l’Italia sono iniziate con lo sviluppo economico degli anni ’50, anche se gli italiani si sono accorti di questo fenomeno solo trent’anni dopo, e cioè con i primi scontri tra autoctoni e immigrati negli anni Ottanta e gli sbarchi degli anni Novanta. In seguito ai profondi cambiamenti politici che interessarono l’Italia negli anni Novanta e ad alcuni importantissimi eventi storici che si verificarono in Europa nello stesso periodo, l’atteggiamento nei confronti degli immigrati cambiò radicalmente. Dalla predisposizione all’accoglienza si passò all’aperta ostilità e la presenza dell’immigrato sul territorio, che fino a quel momento non aveva suscitato particolari reazioni, cominciò ad essere vissuta con avversione e contrarietà. Si rese necessaria una regolamentazione della disciplina che tenesse conto dei cambiamenti avvenuti, in particolare la trasformazione dell’Italia da paese di emigrazione a paese di immigrazione.
Dalla Legge Martelli in poi, gli interventi del legislatore nella disciplina dell’immigrazione sono stati continui e ripetuti nel tempo. Più volte, infatti, si è assistito al ricorso dello strumento legislativo per ridefinire i rapporti tra autoctoni e immigrati, e non ultimo il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, approvato questa estate per far fronte a quella che oramai è definita un’emergenza nazionale. In effetti, la situazione attuale dell’Italia è piuttosto preoccupante, ma non tanto per il numero dei clandestini presenti sul territorio, quanto per le condizioni di vita cui essi sono costretti a vivere. L’assenza di tutele e di protezione nei confronti degli immigrati, ha di fatto reso queste persone oggetto di uno sfruttamento senza fine. In questo contesto l’aspetto più allarmante è senz’altro la diffusione del razzismo e della xenofobia, che oramai imperversano nella società italiana, attraversando la penisola da Nord a Sud, da Coccaglio a Rosarno. I media, dal canto loro, anziché ridurre le occasioni di attrito, si pongono come amplificatori dell’insicurezza sociale, alimentando la paura del diverso e le distanze culturali tra autoctoni e immigrati. Rapine, stupri e violenze riempiono le prime pagine dei giornali, dando la sensazione di vivere in un clima da far west, e in questo contesto si fa passare l’idea di una maggior propensione (se non addirittura predisposizione) degli immigrati alla criminalità.
Dunque, anche in Italia si diffondono sentimenti di insicurezza e di paura, le persone chiedono maggior sicurezza e identificano nell’immigrato l’origine di tutti i mali. È in questa fase che si ha la trasformazione del concetto di sicurezza, intesa non più come garanzia di prestazioni sociali, e quindi come forma di tutela di uno Stato capace di prendersi cura dei propri cittadini; bensì sicurezza come ordine pubblico: la parola d’ordine diventa repressione e si passa dallo Stato sociale allo Stato di polizia.
Gli individui si chiudono entro le barriere della propria nazionalità e la cittadinanza diventa il muro delle fortezze occidentali, il fattore che determina l’inclusione e l’esclusione degli individui all’accesso di tutti i diritti. Proprio i diritti della persona, che teoricamente dovrebbero esseri garantiti a tutti gli esseri umani, vengono meno, essendo sempre più dipendenti dal requisito della cittadinanza. Nasce una distinzione tra cittadinanze di “serie a” e di “serie b”, e nel mezzo aumentano le disuguaglianze sociali, determinando l’esclusione dai diritti fondamentali di una massa di individui che vive il dramma di una “doppia assenza ”: da emigrato e da immigrato.
Purtroppo proprio la privazione di questi diritti indebolisce le basi stesse del sistema democratico, e mentre i poveri sono impegnati a lottare contro i poveri, le nuove forme di criminalità attaccano il sistema, sottraendo maggior potere al popolo.

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8 Introduzione Le migrazioni vero l’Italia sono iniziate con lo sviluppo economico degli anni ’50, anche se gli italiani si sono accorti di questo fenomeno solo trent’anni dopo, e cioè con i primi scontri tra autoctoni e immigrati negli anni Ottanta e gli sbarchi degli anni Novanta. All’inizio era relativamente semplice entrare in Italia, infatti, molti stranieri sfruttavano il visto per turismo o per motivi di studio per l’ingresso regolare e poi, con questa copertura, cercavano lavoro e si stabilivano sul territorio. Successivamente, però, in seguito ai profondi cambiamenti politici che interessarono l’Italia negli anni Novanta e ad alcuni importantissimi eventi storici che si verificarono in Europa nello stesso periodo, l’atteggiamento nei confronti degli immigrati cambiò radicalmente. Dalla predisposizione all’accoglienza si passò all’aperta ostilità e la presenza dell’immigrato sul territorio, che fino a quel momento non aveva suscitato particolari reazioni, cominciò ad essere vissuta con avversione e contrarietà. Intanto il numero degli stranieri presenti sul territorio aumentava, e con essi, la confusione che circondava l’apparato statale circa le norme da applicare. Si rese necessaria una regolamentazione della disciplina che tenesse conto dei cambiamenti avvenuti, in particolare la trasformazione dell’Italia da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Se in un primo momento le leggi adottate tennero conto del passato di emigrazione dell’Italia e furono particolarmente predisposte a favorire i diritti degli immigrati, col passare del tempo la tendenza cambiò, anche per alcuni cambiamenti avvenuti sulla scena politica in seguito agli scandali di Tangentopoli. Da quel momento in poi, ovvero dalla Legge Foschi e poi dalla Legge Martelli, gli interventi del legislatore nella disciplina dell’immigrazione sono stati continui e ripetuti nel tempo. Più volte, infatti, si è assistito al ricorso dello strumento legislativo per ridefinire i rapporti tra autoctoni e immigrati, e non ultimo il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, approvato questa estate per far fronte a quella che oramai è definita un’emergenza nazionale. In effetti, la situazione attuale dell’Italia è piuttosto preoccupante, ma non tanto per il numero dei clandestini presenti sul territorio, quanto per le condizioni di vita cui essi sono costretti a vivere. L’assenza di tutele e di protezione nei confronti degli

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