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L’evoluzione del rapporto banca-impresa alla luce delle norme di Basilea2. Un’indagine nel distretto industriale di Solofra

La crescita economica dipende tanto dalle capacità imprenditoriali esistenti, quanto dalle opportunità di finanziamento disponibili. Tra finanza e sviluppo sussiste un legame bidirezionale: la possibilità di accedere a fonti di finanziamento adeguate rispetto al fabbisogno, agevola la realizzazione dei progetti aziendali, così come la crescita del sistema economico amplia le prospettive di crescita del sistema finanziario. In Italia, il diffuso «nanismo» aziendale e l’insufficiente grado di sviluppo conseguito dal mercato azionario, fanno delle banche pressoché l’unica fonte esterna di finanziamento per le imprese. Ciò spiega il ruolo di primo piano che l’intermediazione bancaria riveste nell’ambito della corporate finance.
Il presente lavoro si ripropone di definire i tratti generali del rapporto banca-impresa all’interno del distretto industriale di Solofra, monitorando il grado di efficienza conseguito dal sistema bancario e il contributo da esso fornito alle dinamiche di crescita del distretto. In particolare ci si sofferma sui cambiamenti attesi dall’imminente entrata in vigore di Basilea 2, il nuovo Accordo internazionale sui requisiti patrimoniali delle banche e delle società finanziarie. Ci si attende che la nuova disciplina interbancaria, introducendo lo strumento del rating per rendere più oggettiva ed efficace la stima della solvibilità del cliente, avrà profonde ricadute sull’allocazione del credito alle imprese, soprattutto alle PMI. Si procede con l’indagine sul campo della possibile evoluzione del rapporto banca-impresa, all’alba dell’entrata in vigore di Basilea 2: come si stanno preparando, banche e imprese locali, per adeguarsi agli standard prudenziali previsti? Come inciderà, sull’operatività delle banche e sulle condizioni di accesso al credito per le imprese, l’adozione dei nuovi strumenti di valutazione del rischio?
L’approccio metodologico prevede la raccolta diretta delle informazioni, mediante visite compiute presso un campione casuale di imprese operanti a Solofra e presso tutte le banche ivi localizzate, con l’ausilio di questionari di supporto e di indirizzo.

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1 INTRODUZIONE Dagli anni Novanta ad oggi l’Europa continentale è stata l’area economica meno reattiva rispetto alle sfide derivanti dalla crescente concorrenza sui mercati internazionali 1 . Nel problematico quadro europeo, la performance dell’Italia è stata la più deludente: tra il 1995 e il 2002 la produttività media del lavoro è aumentata ad un tasso inferiore all’1% annuo, a fronte di un corrispondente incremento europeo pari all’1,4% circa 2 ; ancora più preoccupante appare il tasso di crescita della produttività totale dei fattori, che nei primi anni del 2000 ha assunto valori addirittura negativi 3 . Anche le esportazioni hanno subito un drastico calo, incidendo negativamente sul PIL: se nel 1995 il valore dell’export italiano era pari al 4,5% del commercio mondiale, nel 2004 è sceso a meno del 3% 4 . La perdita di competitività del nostro Paese spinge ad interrogarsi su quali possano esserne le cause più probabili, poiché da una corretta interpretazione delle origini del ritardo possono derivare proposte efficaci di intervento. L’incapacità di crescere dell’economia italiana è spesso ricondotta ai limiti dimensionali delle imprese 5 , troppo piccole per investire adeguatamente in asset 1 Costi, R., Messori, M., (2005), Per lo sviluppo. Un capitalismo senza rendite e con capitale, Bologna, Il Mulino. 2 Ibidem. 3 Ibidem. 4 Ibidem. 5 Il rapporto Istat Struttura e competitività del sistema delle imprese industriali e dei servizi nel 2003, risultato di due rilevazioni statistiche condotte su circa 60.000 imprese attive nell’industria e nei servizi (la prima, di natura campionaria, riguarda le imprese che occupano fino a 99 addetti; la seconda, censuaria, è relativa alle unità produttive con almeno 100 addetti), traccia un quadro strutturale, aggiornato al 2003, dei risultati economici delle imprese italiane. La produttività nominale del lavoro, misurata dal valore aggiunto per addetto, ammonta a 24,5 mila euro nelle imprese da 1 a 19 addetti, a 40,1 da 20 a 99 addetti, a 47,2 nella classe tra i 100 e i 249 addetti, per giungere ai 56,6 mila euro nelle grandi imprese con oltre 250 dipendenti. Un divario di produttività che si accentua soprattutto nella distribuzione geografica delle imprese, dove la ripartizione del valore aggiunto scende dal 39,1% delle regioni nord-occidentali al 24,9% di quelle nord-orientali, al 20,3% dell’Italia centrale, fino al 15,7% registrato nel Mezzogiorno. Il “nanismo” nuoce anche alla vocazione estera dell’Azienda Italia. Nel 1998 la propensione all’esportazione diretta delle imprese manifatturiere

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