Freddie Mercury - Analisi sociosemiotica di una rockstar

3 1. FREDDIE MERCURY, UN’ICONA CAMP Con l’innovazione della sua opera, le sue contraddittorie dichiarazioni, il suo esagerato stile di vita e, più di ogni altra cosa, con la sua immagine prorompente, Freddie Mercury si è assicurato un posto di rilievo tra le icone camp. Prendendo spunto da quello che può essere considerato il vero e proprio manifesto della cultura e dell’estetica camp realizzato da Susan Sontag, sembra che tale descrizione sia stata cucita addosso alla figura del leader dei Queen. Basta leggere alcune affermazioni delle Note sul Camp 1 per costruirsi mentalmente, parola dopo parola, l’immagine raffigurante quell’uomo con i baffi, vestito in maniera assolutamente spettacolare e ambigua che si dimena instancabilmente su un palco. Il camp è androgino come Greta Garbo e tocca quella che è “una delle verità più misconosciute del gusto”: la forma più raffinata dell’attrazione (nonché del piacere) sessuale consiste nell’andare contro l’inclinazione del proprio sesso. Ciò che c’è di più bello negli uomini virili è qualcosa di femminile. Sarebbe fin troppo riduttivo spiegare l’intero significato di questo concetto con l’omosessualità di Mercury e la sua vita sregolata e libertina passata nei più famosi locali gay di Monaco, Londra e New York finalizzata all’appagamento dei propri appetiti sessuali. Di certo queste caratteristiche non sono da escludere, ma vi è anche dell’altro. Proporrei di sostituire la divina Liza Minnelli alla Garbo e interpretare l’ultima frase (“ciò che c’è di più bello negli uomini virili è qualcosa di femminile”) come qualcosa del genere: le fan, nonostante vedessero davanti a loro un uomo vestito con una calzamaglia aderentissima, capelli lunghi con frangetta sugli occhi e trucco sul volto, lo trovavano estremamente attraente e sensuale. Bene, questo non è altro che Freddie Mercury riassunto nel nome dell’artista che lo influenzò più di tutti nelle sue performance (la Minnelli appunto) e nella seduzione che liberava tra le donne quando appariva sul palco. [Il camp] ha una spiccata affinità con la cultura ed il gusto omosessuale, è creativo in quanto “creatore di sensibilità”. È il dandismo contemporaneo, è la risposta al problema sul “come essere un dandy nell’epoca della cultura di massa”. Il camp è qualcosa che da un punto di vista “serio” potrebbe in alcuni casi essere visto come arte scadente o kitsch. È l’elogio dell’artificio, dell’esagerazione, dell’off. Queste espressioni danno, come la pennellata dell’artista sulla tela, un ulteriore affresco a conferma del ruolo di Mercury di icona camp. A tal proposito giunge opportuna una efficace definizione di Alberto Campo, il quale descrive il frontman dei Queen come una Maria Callas in versione heavy metal. Lo stesso Campo, su Mercury, aggiunge: personaggio ambiguo ed eccessivo, ma artisticamente così sensibile da simboleggiare meglio di chiunque altro l’irrisolvibile contraddittorietà degli anni Settanta, sospesi fra la potenza muscolare dell’hard rock e 1 In Contro l’interpretazione (Mondatori, Milano, 1998).