I limiti del potere di recesso del lavoratore : limiti legali e limiti convenzionali
Il diritto del lavoro nella sua accezione tradizionale si è sviluppato pressoché esclusivamente come diritto di tutela, configurando un sistema di rapporti giuridici caratterizzati da profondi elementi protezionistici a favore del prestatore di lavoro subordinato.
L’aspirazione ad assicurare un bilanciamento delle posizioni contrattuali tra le parti del rapporto di lavoro ha portato il legislatore a limitare la libera volontà dei soggetti contrattuali mediante l’impiego della tecnica della inderogabilità in peius dei trattamenti economico-normativi e delle condizioni di lavoro stabilite da disposizioni di legge e di contratto collettivo.
Questa accezione prende le mosse da una organizzazione del lavoro di stampo taylorista dove il lavoratore, dotato di una professionalità elementare, è completamente etero diretto nel suo lavoro dalla tecnologia inserita negli impianti produttivi.
Il grado di fungibilità di questo lavoratore è molto elevato, e pertanto, è necessaria una legislazione di tutela nei suoi confronti, finalizzata ad evitare che i datori di lavoro possano troppo facilmente rompere il vincolo contrattuale.
Oggi, specialmente nel settore terziario, la situazione è molto diversa: l’organizzazione del lavoro vede delle mansioni estremamente ricche ed articolate dove intere fasi del processo produttivo sono concentrate su singoli individui.
La professionalità di questi lavoratori è talmente elevata che è stata elaborata dalla teoria aziendalistica la figura del “Core Worker”: un lavoratore fondamentale per l’impresa, destinatario di formazione, investimenti e dotato di professionalità specialistica .
E’ di tutta evidenza che, in questo caso, il rapporto di forza o, se vogliamo, il grado di dipendenza tra datore di lavoro e lavoratore è molto diverso rispetto al vecchio modello ispirato alla teoria di Taylor: paradossalmente, diventa meritevole di tutela anche il datore di lavoro rispetto al rischio di una rottura del vincolo contrattuale da parte del lavoratore.
Per le ragioni predette si vanno diffondendo, nella pratica delle negoziazioni concrete, una serie di strumenti contrattuali, denominati strumenti di fidelizzazione vincolata, finalizzati a porre vincoli giuridici alla libertà contrattuale del lavoratore, limitandone il potere di recesso e tutelando, quindi, le esigenza del datore di poter contare per un certo lasso di tempo sull’apporto di determinate professionalità.
Gli strumenti in grado di creare vincoli giuridici al recesso del lavoratore possono essere circoscritti al prolungamento del periodo di preavviso ed alla clausola di durata minima garantita.
Scopo della mia elaborazione è di esaminare brevemente il potere di recesso del lavoratore, e cioè le dimissioni.
E’ a tal uopo necessario, anzitutto, ricostruire la disciplina del recesso ad nutum ex art. 2118 c.c., avendo cura di evidenziare le ragioni e la funzione assolta dallo strumento del preavviso.
Successivamente esaminerò gli strumenti giuridici esistenti in grado di limitare il recesso, al fine di verificare se le clausole contrattuali utilizzate per limitare il potere del lavoratore di rassegnare le dimissioni siano o meno compatibili con il contratto di lavoro e con la disciplina, legale e collettiva, del rapporto di lavoro subordinato.
Infine procederò alla analisi di due strumenti contrattuali che predispongono dei limiti convenzionali al potere di recesso del lavoratore: il prolungamento pattizio del periodo di preavviso e la stipula di un patto di stabilità.
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Informazioni tesi
Autore: | Alfonso Ferraioli |
Tipo: | Tesi di Master |
Master in | Master di II livello in Scienze Applicate del Lavoro e della Previdenza Sociale|
Anno: | 2006 |
Docente/Relatore: | Giuseppe Santoro Passarelli |
Istituito da: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 39 |
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