Il giudizio morale tra ragione ed emozione
Considerate la seguente situazione.
State passeggiando sulla riva di un laghetto quando notate che a pochi metri da voi un bambino si trova in grave difficoltà e rischia di annegare. Tuttavia vi trattenete dal gettarvi immediatamente in acqua in suo aiuto… perché pensate alle vostre scarpe. Le scarpe sono nuove e vi sono costate una somma non indifferente; non volete rovinarle, dunque non salverete il bambino.
Un ragionamento di questo tipo, con ogni probabilità, sarebbe considerato spregevole dalla quasi totalità delle persone che conosciamo. Eppure nel mondo ci sono milioni di bambini nella stessa situazione. Con pochi soldi per cibo o medicinali potremmo salvare la loro vita, tuttavia se non lo facciamo non ci sentiamo dei mostri. Perché?
In base a che cosa stabiliamo che un comportamento è morale o immorale? Che processi entrano in gioco nella formulazione di tale giudizio?
La psicologia morale ha attinto ad ambiti e discipline diverse per rispondere a questa domanda.
Psicologi dello sviluppo, etologi, psicologi evoluzionisti, psicologi sociali, teorici del gioco hanno contribuito in maniera importante a cercare una spiegazione, nel corso degli ultimi decenni.
Il paradossale esempio sopra è riportato da Joshua Greene, ricercatore che da anni si occupa di questo argomento. Questa tesi ne presenta alcuni studi e riflessioni.
Tra i quesiti cui Greene cerca di rispondere c’è anche quello dell’intrinsicità nell’uomo della capacità di giudizio morale. In altre parole, vi sono fattori innati che ci permettono di stabilire se un comportamento è giusto o sbagliato?
Il punto di vista adottato è quello neuroscientifico cognitivo che, diversamente dalle discipline su citate, le cui inferenze si basano sul comportamento osservabile (mente come “blackbox”), auspica di indagare le operazioni mentali che si verificano in tale scatola nera in termini fisici. Molti degli esperimenti descritti in questo lavoro hanno utilizzato avanzate tecnologie di visualizzazione del cervello, in particolare la risonanza magnetica funzionale.
Se la capacità di formulare giudizi morali fosse innata, sarebbe diversa da individuo a individuo? Si potrebbe parlare ancora di un senso morale comune? Come si dovrebbe comportare la società e la Legge nei confronti di quelle persone che agissero con scarso giudizio morale o ne fossero apparentemente del tutto prive?
Per individuare l’eventuale ruolo di fattori innati nel giudizio morale Greene cita tre diversi tipi di dati, che saranno trattati in questa tesi. La prima parte espone due particolari ambiti di ricerca:
a) nel primo capitolo si fa riferimento a dati lesionali e al loro eventuale effetto sul giudizio morale;
b) nel secondo capitolo del lavoro si accenna a quelle condizioni (disturbo antisociale di personalità e psicopatia) in cui certi soggetti dimostrano un’incapacità, non acquisita bensì evolutiva, di corrispondere al senso morale giudicato normale;
Prima di trattare il terzo ambito di ricerca, nella seconda parte della tesi, si illustrano alcuni concetti e orientamenti della psicologia morale.
c) infine nella terza parte si parla, in maniera più ampia, di studi sulle basi neurali del giudizio morale e del processo di decision-making, indagati attraverso tecniche di visualizzazione.
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Informazioni tesi
Autore: | Pier Paolo Faresin |
Tipo: | Tesi di Master |
Master in | Master in psicopatologia e neuropsicologia forense|
Anno: | 2004 |
Docente/Relatore: | Corrado Lo Priore |
Istituito da: | Università degli Studi di Padova |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 54 |
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FAQ
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