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Il crollo dell'URSS

Per introdurre il mio lavoro ho ritenuto opportuno analizzare alcuni articoli a commento delle dimissioni di Gorbacev e della salita al potere di Eltsin riportati dal quotidiano “La Stampa” il 27 e il 28 dicembre del 1991.
Il 25 dicembre di quell’anno, in meno di un’ora, l’URSS si è dissolta: alle ore 19 del giorno di Natale Gorbacev è comparso alla televisione e ha annunciato le sue dimissioni dalla presidenza dell’URSS. Pochi minuti dopo, dal pennone più alto del Cremlino è stata ammainata la bandiera rossa, quella bandiera con falce e martello che sventolava sempre, con qualsiasi tempo, tanto gonfia e tesa da fare pensare che dietro operasse qualche misterioso marchingegno inventato affinché il simbolo dell’impero comunista non si afflosciasse mai lungo l’asta del pennone. Quella bandiera è stata subito sostituita dal tricolore bianco-rosso-blu della Federazione Russa. Gorbacev ha quindi consegnato la valigetta con i codici nucleari al comandante provvisorio delle forze armate della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e ha firmato il passaggio di tutti i poteri nelle mani di Eltsin. Il primo interlocutore privilegiato di Gorbacev è stato il presidente statunitense George Bush, al quale l’ex premier sovietico ha voluto trasmettere rassicurazioni sul destino delle armi nucleari russe, affidate mediante decreto a Eltsin e lo ha invitato a riconoscere ufficialmente al più presto il nuovo corso delle ex repubbliche sovietiche.
Fin qui la cronistoria riportata da “La Stampa”1 di quella storica giornata del Natale 1991. Ben più interessante appare un’intervista rilasciata da Gorbacev allo stesso giornale, oltre che a “La Repubblica”, il 27 dicembre 1991. Gorbacev viene descritto da “La Stampa” come un uomo che ha saputo perdere senza tragedia, che non finge una gioia che non ha e che non potrebbe avere, ma che non china la schiena di fronte ad un destino che avverte ingiusto. “Sapeva i rischi, quando cominciò l’impresa”, commenta il giornale, “probabilmente sapeva che non sarebbe stato ringraziato, ma ancora la forza sufficiente per aspettare una rivincita”2. D’altra parte, egli sentiva che le parti a quel punto erano già invertite, che toccava a lui avvalersi del ruolo dell’”offeso”, “che per i russi è come un’aureola di santo”, al punto che tanti nemici e denigratori che lo avevano accusato di autoritarismo, ora cominciavano a rimpiangerlo. Ai giornalisti italiani Gorbacev confessa la forte preoccupazione che il processo di formazione degli Stati indipendenti nati dalle ceneri del colosso sovietico potesse scivolare al di fuori del terreno democratico: “Abbiamo fatto tanti sforzi”, dice con orgoglio misto ad amarezza, “per piegare questo mostro totalitario e per dare ossigeno ad un nuovo organismo perché potesse mettersi in moto e superare gli ostacoli. E proprio in quel momento siamo stati colpiti con il putsch. (...) Se questa Comunità offre una chance, io farò di tutto per appoggiarla, perché non scoppi come una bolla di sapone, perché diventi una struttura reale capace di unire le forze in questa fase decisiva (...) ma quello che sta succedendo in Ucraina mi preoccupa (...) Se i meccanismi di interazione tra le repubbliche non funzionassero, sarebbe un disastro”3. Di fronte alle accuse di Eltsin che gli addossava la responsabilità di aver bocciato nel 1990 l’ipotesi di dare vita ad una confederazione e, per questa via, di non essere stato in grado di salvare l’Unione, la risposta di Gorbacev è composta quanto lapidaria: “Spesso le dichiarazioni di Boris sono troppo politiche. E’ il tentativo di scaricare la responsabilità dei processi di disgregazione in corso. Io non accuso, voglio dire solo che avevamo preparato un accordo per rifondare l’Unione ed era pronto due giorni prima del golpe”.

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PREMESSA Per introdurre il mio lavoro ho ritenuto opportuno analizzare alcuni articoli a commento delle dimissioni di Gorbacev e della salita al potere di Eltsin riportati dal quotidiano “La Stampa” il 27 e il 28 dicembre del 1991. Il 25 dicembre di quell’anno, in meno di un’ora, l’URSS si è dissolta: alle ore 19 del giorno di Natale Gorbacev è comparso alla televisione e ha annunciato le sue dimissioni dalla presidenza dell’URSS. Pochi minuti dopo, dal pennone più alto del Cremlino è stata ammainata la bandiera rossa, quella bandiera con falce e martello che sventolava sempre, con qualsiasi tempo, tanto gonfia e tesa da fare pensare che dietro operasse qualche misterioso marchingegno inventato affinché il simbolo dell’impero comunista non si afflosciasse mai lungo l’asta del pennone. Quella bandiera è stata subito sostituita dal tricolore bianco-rosso-blu della Federazione Russa. Gorbacev ha quindi consegnato la valigetta con i codici nucleari al comandante provvisorio delle forze armate della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e ha firmato il passaggio di tutti i poteri nelle mani di Eltsin. Il primo interlocutore privilegiato di Gorbacev è stato il presidente statunitense George Bush, al quale l’ex premier sovietico ha voluto trasmettere rassicurazioni sul destino delle armi nucleari russe, affidate mediante decreto a Eltsin e lo ha invitato a riconoscere ufficialmente al più presto il nuovo corso delle ex repubbliche sovietiche. Fin qui la cronistoria riportata da “La Stampa” 1 di quella storica giornata del Natale 1991. Ben più interessante appare un’intervista rilasciata da Gorbacev allo stesso giornale, oltre che a “La Repubblica”, il 27 dicembre 1991. Gorbacev viene descritto da “La Stampa” come un uomo che ha saputo perdere senza tragedia, che non finge una gioia che non ha e che non potrebbe avere, ma che non china la schiena di fronte ad un destino che avverte ingiusto. “Sapeva i rischi, quando cominciò l’impresa”, commenta il giornale, “probabilmente sapeva che non sarebbe stato ringraziato, ma ancora la forza sufficiente per aspettare una rivincita” 2 . D’altra parte, egli sentiva che le parti a quel punto erano già invertite, che toccava a lui avvalersi del ruolo dell’”offeso”, “che per i russi è come un’aureola di santo”, al punto che tanti nemici e denigratori che lo avevano accusato di autoritarismo, ora cominciavano a rimpiangerlo. Ai giornalisti italiani Gorbacev confessa la forte preoccupazione che il processo di formazione degli Stati indipendenti nati dalle ceneri del colosso sovietico potesse scivolare al di fuori del terreno democratico: “Abbiamo fatto tanti sforzi”, dice con orgoglio misto ad amarezza, “per piegare questo mostro totalitario e per dare ossigeno ad un nuovo organismo perché potesse mettersi in moto e superare gli ostacoli. E proprio in quel momento siamo stati colpiti con il putsch. (...) Se questa Comunità offre una chance, io farò di tutto per appoggiarla, perché non scoppi come una bolla di sapone, perché diventi 1

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storia contemporanea
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gorbacev
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