Contratti formativi e mercato del lavoro
Gli ultimi vent’anni sono stati segnati da una grave situazione economica che ha inciso fortemente sullo squilibrio quantitativo tra domanda ed offerta di lavoro. In tale scenario il legislatore è più volte intervenuto con l’intento di regolamentare il mercato del lavoro e favorire l’occupazione giovanile. La tesi si pone l’obiettivo circoscritto di dare conto del ruolo della legislazione in tema di contratti su tale delicata dinamica. In particolare si vuol comprendere il senso del dibattito in essere sulla reale validità dei contratti formativi avendoli incastonati storicamente nell’ambito più ampio delle politiche legislative a favore dell’occupazione giovanile ed avendone lette le evoluzioni normative. Particolarmente ci si è soffermati sull’analisi del contratto di apprendistato prima della riforma “Biagi” e del CFL, per meglio comprendere la genesi delle nuove fattispecie negoziali. Il dibattito sui correttivi necessari all’intero sistema dell’istruzione e della formazione per renderlo coerente con le necessità del mondo del lavoro porta alla conclusione che una quota consistente di domanda di lavoro giovanile resta insoddisfatta anche in ragione dell’inadeguatezza qualitativa rispetto alla domanda. Il sistema scolastico tradizionale è risultato fino ad oggi inadeguato rispetto alle esigenze espresse dalle aziende di occupare forza lavoro già in possesso delle caratteristiche professionali necessarie alla produzione, secondo il detto purtroppo ancora valido, che “al lavoro si giunge dal lavoro”. Tutto ciò fa della formazione una variabile fondamentale delle politiche economiche ed occupazionali, un anello di congiunzione tra formazione scolastica e professionalità richiesta dal mercato del lavoro. Il legislatore delegato, nell’art. 1, co. 1°, del D. lgs. n. 276/2003, enuncia come finalità precipua dell’intero provvedimento, quella di aumentare i tassi di occupazione, nonché di promuovere la qualità e la stabilità del lavoro, anche attraverso i contratti a contenuto formativo riconoscendo che anche queste tipologie negoziali devono svolgere, principalmente, una funzione occupazionale. L’intento del legislatore delegato è palesemente quello di trovare efficaci linee di collegamento tra formazione professionale, avviamento al lavoro, mobilità dei lavoratori e programmazione economica, per favorire, attraverso l’uso di strumenti normativi quali il contratto di inserimento ed il contratto di apprendistato, un continuo adeguamento tra domanda ed offerta di lavoro e, quindi, una valida politica per l’impiego.Per quanto concerne più prettamente il ruolo della formazione nei contratti in esame, il legislatore conferma l’apprendistato come contratto formativo per eccellenza e, nel contempo, specializza il contratto di inserimento al fine di realizzare l’inserimento o il reinserimento mirato del lavoratore in azienda. Tramite la riforma dell’apprendistato si persegue l’obiettivo di debellare, soprattutto a livello normativo, l’idea di apprendistato destinato, subito dopo il compimento della scuola dell’obbligo, solo a quanti non vogliano proseguire gli studi, perché per lo più dediti ad un lavoro operaio o di bassa qualificazione. Il contratto di apprendistato diventa per il mercato ciò che il contratto di inserimento è per l’azienda. Il legislatore, infatti, affida a quest’ultima tipologia negoziale la funzione di politica attiva del lavoro volta ad agevolare effettivamente, anche mediante la definizione di uno specifico progetto individuale, l’occupazione o la rioccupazione in particolare di soggetti svantaggiati. Il contratto di inserimento è dunque ben lungi dall’essere uno strumento di formazione tout – court e, facendo proprio il concetto comunitario di “formazione continua”, diventa lo strumento capace di consentire al giovane di inserirsi nel mercato del lavoro, all’occupato di rimanervi incrementando la sua professionalità, nonché la sua competitività, al disoccupato di reinserirvisi. In materia di politica del lavoro si avverte, oggi, l’esigenza non tanto di un’ulteriore flessibilità o di riduzione dei costi o di nuove leve di controllo sull’entrata e sull’uscita di lavoratori più o meno giovani, quanto di pervenire ad un quadro di regole e di incentivi certi per le imprese ed i lavoratori, al fine di incoraggiare consistenti investimenti in formazione da parte delle famiglie, degli operatori economici e delle istituzioni pubbliche.Se ciò non dovesse avvenire, ad esserne danneggiato sarà il sistema produttivo nel suo complesso e la posizione dell’Italia in Europa e nell’economia mondiale.Il livello di formazione /aggiornamento dei lavoratori, infatti, è esattamente ciò che fa la differenza di collocazione e di stabilità di un paese in quella che ormai è denominata la società dell’informazione e della conoscenza.
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Informazioni tesi
Autore: | Mariangela Manzari |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2003-04 |
Università: | Università degli Studi di Bari |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia delle Amministraz. Pub. e delle Istituz. Internaz. |
Relatore: | gabriella Leone |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 178 |
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