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L'infinito nei dialoghi metafisici di Giordano Bruno

Giordano Bruno arriva a Londra nella primavera del 1583. Al termine della sua esperienza inglese, in meno di tre anni, il mago di Nola avrà scritto e fatto pubblicare un numero impressionante di volumi.
Per contenuto e per impostazione, i primi tre dialoghi inglesi sono stati appropriatamente definiti e considerati dalla critica come «metafisici». Emergono qui i tratti fondativi di tutto il suo pensiero, dal concetto di Anima Mundi alla nuova religione magica, dalla distruzione delle gerarchie al completamento della rivoluzione copernicana, dalla concezione dell'Unum e del misterioso numero binario alla nuova religione magica, dalla distruzione delle gerarchie al completamento della rivoluzione copernicana, dalla concezione dell'Unum e del misterioso numero binario alla teoria dei mondi infiniti, vivi come grandi animali animati, e popolati da creature razionali anche più perfette dell'uomo. Ma, soprattutto, l'universo che viene presentato in questi dialoghi è attualmente infinito, e rappresenta l'espressione più adeguata della infinita potenza di Dio: la luce divina pervade la realtà; il reale segue a sua volta e ricalca fedelmente una struttura metafisica ben precisa, i cui opposti estremi - l'Unum e il molteplice - sono indissolubilmente connessi dalla scala naturae, da un ordine meraviglioso. Ci troviamo quindi di fronte al coerente completamento di quella metafisica della luce che Bruno già a partire dalla sua prima opera filosofica (il De umbris idearum, pubblicato a Parigi nel 1582) aveva cominciato a delineare, sebbene seguendo più fedelmente i criteri del linguaggio magico-ermetico .
La centralità dell'infinito però non presuppone mai l'abbandono del finito, del minimo, del limitato. Lo scopo di questo studio è appunto quello di mostrare come l'infinito sia una delle tante conseguenze logico-metafisiche dell'adozione spregiudicata della filosofia binaria, cui fa eco un utilizzo altrettanto spregiudicato della magia naturalis, sia a livello teoretico che pratico. Il mio tentativo è quindi quello di mostrare come la teoria dell'infinito non sia in Bruno comprensibile a prescindere dalla considerazione del suo contrario: il finito. In realtà - questo è quello che emerge dai dialoghi metafisici - la discussione dell'infinito trova una sua collocazione precisa solo all'interno della misteriosa, magica, filosofia binaria, quella dei contrarii. La logica dei contrari, in aperta opposizione a quella aristotelica, coinvolge sintomaticamente anzitutto il piano metafisico, l'Unum. Nell'Uno vi è infatti - assolutamente - coincidenza di complicatio ed explicatio, di minimo e massimo, di ombra e luce. Il mistero che avvolge la modalità di questo essere - allo stesso tempo - minimo e massimo, provoca il sistema dell'analogia razionale e della magia teurgica: due metodiche meno che mai antitetiche, che devono essere invece sapientemente coordinate dal mago-filosofo al fine di ottenere non solo la reale affermazione dell'autonomia umana in campo religioso ed etico, ma anche una crescita spirituale che permetta il divinizzarsi della vita e il realizzarsi di un progresso infinito. In sostanza è ancora una volta operante il sistema analogico: dall'infinità di Dio Bruno giunge all'infinità della natura e dell'uomo che in essa vive.

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INTRODUZIONE «non deve, né vuole pentirsi [...], non sa di che cosa si debba pentire»[1]. Giordano Bruno arriva a Londra nella primavera del 1583. Al termine della sua esperienza inglese, in meno di tre anni, il mago di Nola avrà scritto e fatto pubblicare un numero impressionante di volumi: tra il 1584 e il 1585 vengono infatti dati alle stampe La Cena de le Ceneri, il De la Causa, principio et Uno, il De l'infinito, Universo et Mondi, lo Spaccio de la Bestia trionfante, la Cabala del cavallo Pegaseo e il De gl'heroici furori. Si tratta, come ha giustamente commentato Michele Ciliberto, di «autentici capolavori del pensiero europeo»[2]: ma proprio alle dottrine cosmologico-metafisiche e religiose che questi testi esponevano il Nolano dovrà l'arresto, la carcerazione e il rogo. Per contenuto e per impostazione, i primi tre dialoghi inglesi sono stati appropriatamente definiti e considerati dalla critica come «metafisici». In effetti, nella Cena, nel De la causa e nel De l'infinito, Bruno esprime, anche per il tono divulgativo, il meglio della sua filosofia ermetica, soprattutto a livello metafisico-cosmologico. Emergono qui i tratti fondativi di tutto il suo pensiero, dal concetto di Anima Mundi alla nuova religione magica, dalla distruzione delle gerarchie al completamento della rivoluzione copernicana, dalla concezione dell'Unum e del misterioso numero binario alla teoria dei mondi infiniti, vivi come grandi animali animati, e popolati da creature razionali anche più perfette dell'uomo. Ma, soprattutto, l'universo che viene presentato in questi dialoghi è attualmente infinito, e rappresenta l'espressione più adeguata della infinita potenza di Dio: la luce divina pervade la realtà; il reale segue a sua volta e ricalca fedelmente una struttura metafisica ben precisa, i cui opposti estremi - l'Unum e il molteplice - sono indissolubilmente connessi dalla scala naturae, da un ordine meraviglioso.

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Parole chiave

dialoghi metafisici
giordano bruno
infinito
storia delle dottrine teologiche
storia della filosofia
teologia
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