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Corte internazionale di giustizia e Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia a confronto sulla questione di Srebrenica

L'azione delle due corti è nettamente distinta e il loro lavoro non sovrapponibile neppure in un caso come questo, nel quale pure c'è un forte legame, come ammette la stessa Corte internazionale di giustizia, che nel suo giudizio si è avvalsa abbondantemente del lavoro del Tribunale dell'Aja.
Ciò nonostante, mettere a confronto le diverse impostazioni delle corti ci consente anche di indagare su uno dei più classici temi del diritto internazionale penale: l'evoluzione del concetto di responsabilità internazionale, il cui unico soggetto un tempo era considerato lo Stato, entità astratta e totalizzante. Nel nuovo diritto internazionale invece le azioni dei singoli individui assumono un rilievo inedito, anche penale. La responsabilità statale viene mantenuta e riaffermata, ma al suo fianco si erge una nuova prospettiva che prevede che siano gli stessi autori delle condotte illecite a dover subire le conseguenze dei propri atti, siano essi capi di stato, ministri, ufficiali o soldati semplici.

Nel 1993 la Bosnia-Herzegovina ha presentato un procedimento presso la Corte internazionale di giustizia contro la Repubblica federale di Jugoslavia (FRY) in relazione alla Convenzione sul genocidio del 1948, sostenendo che l'aggressione serba in Bosnia costituisse genocidio. In seguito, nel 1996, la Corte ha concluso nella sua sentenza sulle obiezioni preliminari presentate dalla FRY di avere giurisdizione per affrontare il caso sulla sola base dell'art IX della Convenzione sul genocidio.
Segue l'analisi del giudizio definitivo della Corte del 26 febbraio 2007 sul caso dell'applicazione della Convenzione per la repressione e la prevenzione del crimine di genocidio in cui si dichiara la Serbia non responsabile di genocidio, attraverso suoi organi o persone, ma colpevole di aver violato l’obbligo di impedirlo, derivante dalla Convenzione.

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Nicoletta Bortoluzzi 1. Introduzione Con la risoluzione n° 827 del 25 maggio 1993 viene istituito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite lo statuto del Tribunale penale internazionale per crimini commessi nell'ex-Jugoslavia. È il primo tribunale penale internazionale dopo quelli di Norimberga e Tokyo, ciò a significare quanto le violazioni commesse durante il conflitto jugoslavo abbiano toccato la comunità internazionale. Per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale venivano commesse simili violazioni del diritto internazionale sul suolo europeo. Sembra quindi necessario un intervento nuovo e deciso da parte delle Nazioni Unite, troppo spesso accusate di inerzia, il Consiglio di Sicurezza prende allora un'iniziativa inaspettata, che non sarà certo esente da polemiche: la creazione di un tribunale penale internazionale. La legittimità della creazione del suddetto tribunale sarà da subito contestata. La Carta ONU prevede che il Consiglio di Sicurezza possa mettere in atto una serie di misure coercitive, implicanti o meno l'uso della forza, per dare effettività alle proprie decisioni. Alcune di queste misure sono elencate agli artt 41 e 42 dello Statuto, ma fra queste non è esplicitamente prevista la creazione di un tribunale ad hoc. La questione della validità della creazione del tribunale sarà affrontata e risolta dalla Camera d'appello del Tribunale stesso, nel corso del procedimento contro Tadić 1 . La legittimità del Tribunale si fonda proprio nelle disposizioni del capitolo VII della Carta della Nazioni Unite, in particolare nell'art 41, del quale le misure elencate sono considerate non esaustive. Il Tribunale fino ad oggi ha condannato 48 persone, ne ha assolte 5, mentre 36 hanno viste ritirate le accuse a loro carico o sono decedute. Relativamente al solo crimine di genocidio 2 persone sono state condannate per complicità in genocidio. Negli altri 14 casi, le accuse di genocidio sono state ritirate, gli accusati sono stati assolti o sono morti prima della fine del processo, incluso l'ex-presidente della Repubblica federale di Jugoslavia Slobodan Milošević. Ci sono inoltre 3 casi pendenti contro accusati in stato di latitanza, fra cui il generale Ratko Mladić e l'ex-presidente della Republika Srpška, Radovan Karaždić. 1 Cfr. ICTY, caso Tadić, Decisione sulla mozione della difesa per l'appello interlocutorio sulla giurisdizione. Camera d'appello, paragrafi 28-37. 3

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