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I Patti parasociali nel diritto positivo vigente

Come si può evincere dalla lunga disamina fatta nelle pagine precedenti, pur avendo il legislatore e anche la giurisprudenza compiuto notevoli passi avanti, nel cercare di rendere più comprensibile la materia dei patti parasociali, manca ancora su alcune questioni un punto fermo. Ci sono, infatti, risposte che sono ancora lasciate aperte alle inclinazioni della giurisprudenza e alle diverse opinioni della dottrina.
L’augurio che molti studiosi della materia si erano fatti, che alla prima occasione il legislatore intervenisse per chiarire i punti ancora oscuri della disciplina dei patti parasociali sembra che, almeno per la maggior parte dei casi, non abbia sortito effetti.
Così come negli ultimi settanta anni i patti parasociali sono stati usati indipendentemente dall’approvazione dell’ordinamento, anche oggi il loro utilizzo continua ad essere molto intenso. Ora una normativa esiste, ma non affronta la materia in modo completo. La giurisprudenza pare aver raggiunto un orientamento stabile, se non altro nel modo di avvicinarsi all’istituto. Gli argomenti volti a negare radicalmente la liceità di simili patti non paiono più sostenibili sul piano del diritto positivo vigente.
Ma allora, forse, riallacciando i fili della questione, dopo aver compreso che per molto tempo la disciplina dei patti parasociali è stata modellata dalla prassi degli affari e del mondo finanziario; dopo aver notato che il legislatore, una prima volta se ne è lavato le mani, e poi, a distanza di cinquanta anni, ha ritenuto di legalizzare pian piano il fenomeno, senza preoccuparsi di disciplinarlo in tutti i suoi aspetti; dopo aver osservato, come molte volte, la scelta di una teoria, piuttosto che di un'altra, è dipesa più da fattori ideologici, che non da considerazioni prettamente giuridiche. Forse dopo tutto ciò, ci si potrebbe accorgere che i cambiamenti nella materia non sono così profondi come sembra: non c’è stata nessuna rivoluzione, ma piccoli aggiustamenti di cui sia il legislatore, sia la giurisprudenza, si sono appropriati, ma senza proporre alcunché di nuovo che non fosse già stato pensato o fatto.
Pertanto, la vera riflessione da fare oggi non è più quella del riconoscimento dei patti parasociali, ma quella degli effetti di tale riconoscimento.
Se è vero, come lo è, che attraverso pattuizioni parasociali si possono creare organizzazioni parallele alle strutture societarie, per la ritenuta generale liceità delle stesse, c’è da chiedersi, se il sistema delineato dal legislatore, per modernizzare il diritto societario italiano, abbia raggiunto i risultati sperati: trasparenza, parità di trattamento, correttezza gestionale, democrazia sul funzionamento delle società.

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1 I. CAPITOLO I II. I PATTI PARASOCIALI NELLE SOCIETÀ QUOTATE 1.1 Premessa Il sistema economico italiano, negli ultimi anni, ha subito un forte processo d’internazionalizzazione, che sta portando il nostro paese verso uno stato d’avanzato capitalismo. Le società italiane sono sempre più caratterizzate dalla presenza di una forte concorrenza e dalla necessità di impostare programmi che, devono essere a lungo termine, ma, al tempo stesso, adeguatamente flessibili, in funzione dell’evolversi delle condizioni ambientali e di mercato. Per ovviare ad un’eccessiva rigidità dei modelli legali, inderogabilmente prescritti per le società di capitali, alle difficoltà di controllo delle società e di gestione delle stesse, si sono da tempo diffusi i patti parasociali. Tali patti rappresentano lo strumento per dare un indirizzo all’organizzazione e alla gestione delle società, per assicurare la stabilità degli assetti proprietari e l’incidenza sulla contendibilità del controllo societario. Proprio l’inflessibilità del modello legale, cui lo statuto e il contratto sociale erano vincolati, ha favorito la nascita dei patti parasociali. I confini della questione sono stati descritti per la prima volta da Ascarelli, in un lontano articolo del 1931. L’illustre Maestro, “afferrando la natura del problema dei sindacati di voto nell’ambito della lotta che, in linea con la propensione generale dell’economia moderna, tende a svilupparsi anziché che tra individui isolati tra gruppi organizzati, rappresentava la vita delle società anonime come un perenne contrasto tra la necessità di garantire l’impegno della maggioranza e quella di proteggere, al tempo stesso, la

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Informazioni tesi

  Autore: Federico Federici
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2003-04
  Università: Università degli Studi di Roma Tor Vergata
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia delle Istituzioni e dei Mercati Finanziari
  Relatore: Giuseppe Santoni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 190

FAQ

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