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L'informazione di guerra: il caso Iraq

Partendo da un'analisi di come le guerre del Vietnam, Golfo e Balcani sono state presentate dai mezzi di informazione, si arriva ad un'analisi approfondita del recente conflitto in Iraq, sempre dal punto di vista mediatico-giornalistico. L'attenzione viene posta sul ruolo degli inviati di guerra, sulle nuove tecnologie, sulla differenza tra il giornalismo europeo ed americano e sulla spettacolarrizzazione e politicizzazione nei media. L'ultimo capitolo é dedicato ad interviste a reporter di guerra.

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4 Introduzione Pensando all’informazione, e più in particolare all’informazione di guerra, la cosa che più mi colpisce è sicuramente la sua capacità di evolversi ogni volta in qualcosa di diverso, sia nella forma che nelle conseguenze a cui porta. Questa sua peculiare duttilità è dovuta sia al trasformarsi stesso dei mezzi che veicolano l’informazione (si è partiti dagli aedi ed oggi ci si ritrova con le tecnologie più disparate) sia al trasformarsi del ruolo che essa ha nei vari conflitti. Dall’epoca in cui William Russel faceva i suoi reportage dal fronte senza che però venissero pubblicati, al periodo di libertà assoluta nel corso del conflitto in Vietnam, al vuoto mediatico della guerra del Golfo, fino all’odierna ridondanza mediatica del conflitto iracheno, passando per le guerre dimenticate dell’ex Jugoslavia e del Rwanda. Ognuno di questi conflitti, che ho affrontato per illustrare com’è cambiato il modo di raccontare la guerra, ha mostrato un volto nuovo del complesso sistema informativo e dei mezzi di comunicazione, a volte positivo ed incoraggiante a volte più negativo. Ma per stabilire cosa sia positivo e cosa negativo nell’ambito dell’informazione bisogna prima di tutto capire quale sia il suo compito, suo e degli attori che la rendono possibile (i mezzi di comunicazione ed i giornalisti). Ovviamente non ci si può aspettare una definizione assoluta ed immutabile, ma soltanto alcune linee guida. Si potrebbe affermare che, anche se l’obiettività pura non esiste, analizzare una notizia significhi essere in grado di collegare gli avvenimenti tra loro e di offrire un quadro onesto al lettore senza pretendere di indottrinarlo. Oggi il giornalista deve essere pronto ad andare a vedere personalmente cosa succede, ad approfondire, a leggere, a controllare, ad analizzare, a documentarsi ed a chiedersi il perché di tutto quello che vede. Il giornalista che va in guerra ha prima di tutto un dovere nei confronti dei lettori: dire loro quello che non possono vedere direttamente. Diventa quindi un tramite per il lettore, ed è inevitabile che la realtà venga filtrata dai suoi occhi, non può esistere obiettività perché ogni uomo ha le proprie idee. Il metodo migliore per un giornalista resta quindi quello di andare sempre a vedere di persona, verificare l’attendibilità delle fonti, raccontare quello che vede e restare ancorato ai fatti.

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