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Pubblicità ''cattive'' e antipatia: la settima arma della persuasione

La pubblicità può essere considerata a tutti gli effetti parte della nostra vita, una presenza costante che scandisce la nostra quotidianità. La pubblicità ci rappresenta, ci invoglia, e un po’, ci somiglia.
La pubblicità è anche e soprattutto persuasione, e come tale si avvale di diverse tattiche. La strategia prevalente è quasi sempre stata quella di associare ai prodotti stimoli positivi come la bellezza, il calore familiare, i buoni sentimenti. Il motivo è che si attua un trasferimento connotativo, come afferma Semprini, che consiste nell’associare ad un prodotto un significato positivo, come la bellezza, il successo, il calore familiare in modo che questi vengano riferiti al prodotto stesso.
Tuttavia, da qualche tempo, si intravedono sentori di cambiamento: la simpatica nonna dei “Quattro salti in padella” che mangia la porzione del suo nipotino, il celeberrimo spot della Fiat Palio, dove un automobilista fa cadere un incauto ciclista reo di essersi poggiato sulla sua macchina, le donne aggressive e sempre più arrabbiate della Breil, e gli esempi potrebbero essere molti.
Violenza, cattiveria, bruttezza hanno quindi invaso il mondo della pubblicità, e tutto ciò sembra contrastare con qualsiasi strategia pubblicitaria: se quello che dice Semprini è vero, e quindi mostrare sentimenti negativi potrebbe avere l’effetto controproducente di trasferire la negatività al prodotto stesso, allora non si spiega questo massiccio uso della violenza in pubblicità. Gli psicologi, di fronte a questo fenomeno si sono soffermati sugli effetti per lo più negativi della violenza in televisione, ma quasi nessuno si è chiesto il motivo dell’attrazione della violenza (Goldstein, 1998), delle sue caratteristiche e del perché ci sia violenza in televisione (Gili, 2004).
Con questo lavoro si vuole proporre uno spunto di ricerca sull'attrattiva degli stimoli negativi in pubblicità, che possono essere considerati armi di persuasione a tutti gli effetti, e sulle cause sottostanti tale efficacia.

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5 Introduzione La pubblicità è oramai parte della nostra vita, riflette quello che siamo, i nostri sogni, i nostri bisogni e le nostre aspettative. La sua presenza ha indubbiamente cambiato il nostro modo di vivere, lo ha in qualche modo arricchito, presentandoci una possibilità di scelta fra prodotti e servizi che non ha eguali nella storia. Ci informa sulle novità, sulle mode, su come in definitiva il mondo cambia. È come se fosse un telegiornale delle novità: ogni spot, nei suoi sessanta, trenta, o dieci secondi ci segnala, attraverso un nuovo prodotto, un cambiamento, un’evoluzione nei costumi, e quindi, potenzialmente, anche nei comportamenti. La pubblicità, oggetto e protagonista assoluta di questa ricerca, ha infatti seguito l’evoluzione della società e si è sempre adeguata ai cambiamenti del sentire comune che le si sono presentati sulla strada. Ha sperimentato (sebbene con poca arditezza in Italia) e continuamente tentato la rincorsa di un consumatore che oramai ne è totalmente assuefatto, distratto dagli innumerevoli stimoli che è costretto a subire suo malgrado. E lei, di fronte a questa freddezza e indifferenza non si è data per vinta, ha perseverato e, guardandosi intorno, ha cercato di capire quale fosse il modo migliore per colpire un’audience annoiata. Alla fine ha trovato uno strumento, anche se sarebbe più giusto parlare di arma: ha deciso di diventare cattiva. Ha smesso, quindi, di presentare famiglie felici con nonne affettuose e bambini ubbidienti, e lo ha fatto a tal punto che dall’ondata di malignità non si è salvato nessuno, neanche Babbo Natale.

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Parole chiave

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cattiveria
comunicazione
marketing
persuasione
psiche pubblicità
psicologia
pubblicità
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