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Il primo anno della presidenza Napolitano: dottrina, prassi e tendenze

La figura del Presidente della Repubblica e la sfera di poteri ad egli riconducibili sono sempre stati, sin dall’Assemblea Costituente del 1947, oggetto di numerosi dibattiti, talvolta assai aspri, soprattutto sulla qualità e sulla “liceità” delle funzioni presidenziali e dei suoi interventi in ambito politico. Numerose sono le interpretazioni dottrinali, così come infinite le opinioni: addirittura, durante il settennato di Oscar Luigi Scalfaro, contraddistinto da numerose polemiche fra i vari schieramenti politici e il Presidente stesso, alcune testate giornalistiche arrivarono, esageratamente, a paragonare i poteri del Capo dello Stato più a quelli di un despota che a quelli di un garante della costituzionalità dell’ordinamento; invece, in taluni e più credibili ambiti dottrinali, il Presidente della Repubblica viene insignito di un “potere neutro e intermediario” , e non mancano certo numerose espressioni retoriche e dai contorni molto sfumati.
Fin dai suoi primissimi esordi, in verità, l’azione del Quirinale ha fornito prova di grande flessibilità; essa si è adattata alle diverse stagioni attraversate dal nostro sistema politico, facendo leva su una mutevole interpretazione dei poteri da parte dei Presidenti in carica. In tal modo, senza modifiche sostanziali al nucleo normativo da cui trae origine, il Presidente della Repubblica ha talvolta influito profondamente sui processi politici del nostro parlamentarismo, allargando in massimo grado la propria sfera potestativa; in altre occasioni, si è invece mantenuto ai margini delle arene decisionali, limitandosi ad una partecipazione di tipo notarile.
Proprio per esaltarne l’estensione variabile, i poteri del Capo dello Stato sono stati spesso accostati in dottrina al movimento di una fisarmonica; i critici sostengono che la “fisarmonica presidenziale” costituisca un pericolo, in forza del quale, una figura sottratta al controllo democratico e politicamente irresponsabile può assumere in sé, con scarsi limiti formali, i fondamentali poteri di nomina del premier e di dissoluzione del Parlamento, nonché uno sconfinato “potere di esternazione”. Coloro, invece, che difendono tale argomentazione ne enfatizzano il ruolo e le funzioni equilibratrici, vocate allo sblocco degli stati di crisi del sistema parlamentare.
Da queste necessarie premesse si può intuire come la sfera di attribuzioni presidenziali rappresenti tuttora, in ambito dottrinale, un argomento molto controverso e di sfuggevole interpretazione.
Quel che è certo è che l’art. 87 della Costituzione insieme con gli altri articoli che richiamano le attribuzioni presidenziali (art. 59, art. 62 2°c, art. 74, art. 79, art. 88. art. 92, art. 126, art. 135) costituiscono un nucleo normativo positivo teso a delineare una figura i cui tratti siano ben precisi; tant'è vero che si deve ritenere che la sola attribuzione di “Capo dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale” (ex art. 87 Cost.) “non comporta necessariamente e logicamente l’attribuzione di ulteriori poteri e comunque di certo non comporta l’attribuzione di tutti i poteri nominati nell’articolo in commento” ; ecco perché una simile elencazione debba ritenersi sostantiva nel configurare i poteri del Capo dello Stato.
Altrettanto certo è che una semplice, e non si pretende esaustiva, tratteggiatura delle attribuzioni presidenziali debba essere fatta partendo dal presupposto che la linea di tendenza intrapresa dopo l’Assemblea Costituente è quella della progressiva perdita, anche se non del tutto, del potere di indirizzo politico, con un accentuato incremento di un ruolo di intermediazione e di equilibrio, oltreché di garanzia del corretto funzionamento del sistema costituzionale.
Dunque, si ritiene molto semplicemente che il Capo dello Stato sia da intendersi come un’entità repubblicana al di sopra delle parti, garante della costituzionalità dell’ordinamento e al quale vengono conferiti efficienti poteri per assolvere questa delicata funzione; sembra perciò opportuno lasciare a sedi diverse e più qualificate la discussione sull’eccessiva o eccessivamente scarsa dotazione di poteri e concentrarsi su questioni di maggior sostanza per gli obiettivi di questa tesi.
Ciò che rileva e che rappresenta il nocciolo di quest’esposizione è come si debbano concepire e configurare i poteri del Presidente in un contesto di attualità, caratterizzato da un aspro e controproducente dibattito politico tra i poli, all’interno del quale le funzioni di mediazione e di garanzia accrescono la propria portata.
L’obiettivo è dunque quello di “sondare l’oggi”, e di farne un punto d’osservazione privilegiato nell’identificare e valutare il comportamento e l’attività del Presidente Giorgio Napolitano ad un anno dalla sua elezione.

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4 Introduzione La figura del Presidente della Repubblica e la sfera di poteri ad egli riconducibili sono sempre stati, sin dall’Assemblea Costituente del 1947, oggetto di numerosi dibattiti, talvolta assai aspri, soprattutto sulla qualità e sulla “liceità” delle funzioni presidenziali e dei suoi interventi in ambito politico. Numerose sono le interpretazioni dottrinali, così come infinite le opinioni: addirittura, durante il settennato di Oscar Luigi Scalfaro, contraddistinto da numerose polemiche fra i vari schieramenti politici e il Presidente stesso, alcune testate giornalistiche arrivarono, esageratamente, a paragonare i poteri del Capo dello Stato più a quelli di un despota che a quelli di un garante della costituzionalità dell’ordinamento; invece, in taluni e più credibili ambiti dottrinali, il Presidente della Repubblica viene insignito di un “potere neutro e intermediario” 1 , e non mancano certo numerose espressioni retoriche e dai contorni molto sfumati. In questo senso, si è definito il Capo dello Stato come un “grande regolatore del gioco costituzionale” (Tosato), oppure come un “arbitro supremo” (Ruini), e infine come istituzione dalle “attribuzioni di carattere prevalentemente moderatore”(Mortati) 2 . Fin dai suoi primissimi esordi, in verità, l’azione del Quirinale ha fornito prova di grande flessibilità; essa si è adattata alle diverse stagioni attraversate dal nostro sistema politico, facendo leva su una mutevole interpretazione dei poteri da parte dei Presidenti in carica. In tal modo, senza modifiche sostanziali al nucleo normativo da cui trae origine, il Presidente della Repubblica ha talvolta influito profondamente sui processi politici del nostro parlamentarismo, allargando in massimo grado la propria sfera potestativa; in altre occasioni, si è invece mantenuto ai margini delle arene decisionali, limitandosi ad una partecipazione di tipo notarile. Proprio per esaltarne l’estensione variabile, i poteri del Capo dello Stato sono stati spesso accostati in dottrina al movimento di una fisarmonica; i critici sostengono che la “fisarmonica presidenziale” costituisca un pericolo, in forza del quale, una figura sottratta al controllo democratico e politicamente irresponsabile può assumere in sé, con scarsi limiti formali, i fondamentali poteri di nomina del premier e di dissoluzione del Parlamento, nonché uno sconfinato “potere di esternazione”. Coloro, invece, che difendono tale argomentazione ne enfatizzano il ruolo e le funzioni equilibratrici, vocate allo sblocco degli stati di crisi del sistema parlamentare. 1 F.Cuocolo, Lezioni di diritto pubblico, Terza edizione, Milano, Giuffrè editore, 2004, pag. 264. 2 L.Paladin, Presidente della Repubblica, in Enciclopedia del diritto, volume XXXV, Milano, Giuffrè editore, 1983, pag. 167.

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