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Il delinquente e la sua capacità: la personalità del reo nel dibattito penalistico italiano

“Accanto al fatto penalmente illecito, il secondo pilastro del diritto penale moderno, il secondo grande capitolo della moderna scienza penale, è la personalità dell’autore dell’illecito penale” .
In modo provvisorio ed approssimativo possiamo affermare che per oltre due secoli – tra il XVIII ed il XX – sull’argomento si sono alternate sostanzialmente tre diverse dottrine.
La prima, che possiamo ricondurre sommariamente alla cosiddetta “Scuola Classica” , si faceva portatrice di un diritto penale del puro fatto e, conseguentemente, del “dogma del reo come essere morale assolutamente libero nella scelta delle proprie azioni, che come tale venne elevato a Uomo astratto ed irreale” .
La seconda, riconducibile invece alla “Scuola Positiva”, può indicarsi come la base di un diritto penale dell’autore, fondato sulla figura del delinquente, “essere assolutamente determinato, che come tale viene degradato ad entità naturalistica, bio-psico-sociologica, rimbalzato tra costituzione ed ambiente e privo di ogni spontaneità ed autodeterminazione” .
La terza, infine, ispiratrice del Tecnicismo giuridico Novecentesco, è il frutto di un compromesso e, pertanto, postula un diritto penale misto del fatto e della personalità dell’autore, acquisendo quest’ultimo come “concreta individuazione umana, né tutta libertà né tutta necessità, ma con una libertà condizionata, motivata, la cui sfera di spontaneità e di autodeterminazione varia, ampliandosi o riducendosi fino ad annullarsi” .
Date per assodate queste informazioni, che peraltro saranno rese in modo ben circostanziato in tre dei cinque capitoli che compongono questo testo, ci si può rivolgere al passato fino ad arrivare ai primi dell’Ottocento, per cominciare un viaggio lungo due secoli.

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Premessa 1 I) Premessa Per il giurista italiano dei nostri giorni, i concetti di elemento soggettivo del reato e, in particolar modo, di capacità a delinquere sono ormai un punto fermo del diritto penale sostanziale e processuale. Questo studio è volto a dimostrare come, in realtà, la codificazione di tale istituto sia stata frutto di un lungo cammino, nonchØ la conseguenza di un ampio dibattito che ha attraversato l’Italia a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Si cercherà, inoltre, di esporre come l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto della capacità a delinquere sia la “spia” di un mutamento radicale dei tempi, avvenuto in concomitanza con lo sviluppo piø consapevole e variegato della “Scuola Classica” ed il fiorire di un’altra dottrina penale portata avanti dalla “Scuola Positiva”. L’analisi di tale materia è pertanto l’occasione per capire come e perchØ la teoria liberale dominatrice incontrastata della prima metà dell’Ottocento, fondata sul presupposto del contratto sociale e dell’uomo razionale, abbia dovuto confrontarsi (e in parte piegarsi ad esso) con il prepotente ingresso sul palcoscenico del diritto del Positivismo, che già aveva rivoluzionato la filosofia e le scienze naturali. Una precisazione si rende necessaria: non potendosi studiare la species ignorando il genus, sarà utile, al fine di esporre gli assunti della teoria liberale, prendere spunto dai codici penali vigenti negli Stati italiani preunitari. Questo è il punto di partenza per poter analizzare, successivamente, le teorie della “Scuola Classica”, della “Scuola Positiva” e, infine, del Tecnicismo Giuridico. Da ultimo si procederà con l’esposizione della disciplina vigente relativa alla capacità a delinquere, alla luce della Costituzione repubblicana e dell’orientamento giurisprudenziale delle Corti italiane repubblicane.

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