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Pari opportunità uomo-donna

Per una migliore comprensione di quella che è la presenza femminile nell’attuale realtà socio-economica ho ritenuto che fosse indispensabile l’analisi della legislazione sociale sul lavoro femminile dalla tutela, alla promozione di uguaglianza di opportunità. La mia prima fonte normativa in esame è stata la legge n.3657 del 1886, sul lavoro dei fanciulli negli opifici, nelle cave e nelle miniere, per giungere alle più recenti leggi tutt’oggi in vigore.
La legge n. 903 del 1977: Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, segna un importante, se pur graduale, cambiamento di tendenza nella legislazione sul lavoro della donna, determinando il passaggio dalla protezione, rivelatasi dannosa per l’occupazione femminile, alla parità di trattamento. Con l’emanazione della suddetta legge, in Italia, fu senz’altro raggiunta la “parità formale” tra uomini e donne, ma il traguardo della “parità sostanziale” era ancora molto lontano e lo dimostra il fatto che, subito dopo la legge 903/1977, non erano per nulla scomparse, nel mondo del lavoro, le disparità di trattamento fondate sul sesso. Occorrerà attendere fino al 1991, dopo un lungo e faticoso iter, perchè con la legge n. 125 del 10 aprile, recante norme in materia di “Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro” si realizzi quel necessario passaggio dalla cultura delle parità a quella delle pari opportunità, anche se resta ancora il problema della sua effettiva applicazione nella realtà quotidiana.
La legge n. 125 è stata senza alcun dubbio una legge significativa e di grande importanza per i suoi contenuti, per la sua struttura, per le indicazioni che ne scaturiscono, di grande rilievo i suoi elementi di fondo, tra i quali vanno segnalati in particolare:
1) la puntuale definizione delle finalità: favorire l’occupazione femminile, realizzare l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro, rimuovere gli ostacoli che, di fatto, impediscono la realizzazione di pari opportunità (art. 1, comma I);
2) l’indicazione delle azioni positive come strumento fondamentale per eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell’accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità (art. 1, comma II, lett. a); per favorire la formazione e la professionalità anche nel lavoro autonomo e nell’attività imprenditoriale (lett. b); per incidere sull’organizzazione e sulle condizioni di lavoro (lett. c); per promuovere l’inserimento nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati e ai livelli di responsabilità (lett. d); per favorire infine un corretto equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi (lett. c);
3) la distinzione tra azioni positive volontarie e relativo finanziamento (di cui all’art. 2 commi I, II e III), e azioni positive obbligatorie (per le amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’art. 2, comma VI);
4) la previsione di ulteriori forme di finanziamento delle azioni positive di formazione attraverso una quota del fondo di rotazione;
5) la nuova disciplina delle azioni in giudizio, con una precisa definizione anche della discriminazione indiretta;
6) la complessa strutturazione delle c.d. istituzioni della parità (dal Comitato nazionale e relativi organi fino ai Consiglieri di parità, che nella 125 assumono un ruolo di straordinaria importanza e di rilevante impegno);
7) la previsione di un obbligo di rapporto sulla situazione del personale, ogni due anni, per le aziende che occupano oltre 100 dipendenti (art. 9) e così via.
Le sopra indicate leggi sono ampiamente trattati nei capitoli due e tre.
La legge 215/1992 sull’imprenditoria femminile.
Meritano di essere visionate anche le pagine dedicate agli artt. 3, 37, 51 della Costituzione che garantendo l’uguaglianza dei due sessi, non rispondono solo ad una istanza di uguaglianza formale, o di diritto, ma soprattutto ad un’esigenza di uguaglianza sostanziale, o di fatto, e di parificazione sociale.
Infine nel capitolo IV una serie di grafici relativi alla presenza femminile nel mercato del lavoro nazionale ed europeo nel quinquennio 1993/1997, (fonti ISTAT, della Ragioneria dello Stato, del CNEL, del Labour force survey), fa costatare quanto le donne siano tuttora indietro nella corsa verso la concreta eliminazione di ogni forma di disparità e quanto si sia ancora lontani dalla piena realizzazione di quel cambiamento culturale perché anche alla donna sia attribuito un ruolo da protagonista nella organizzazione economica, politica e sociale del Paese.

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5 I. LA LEGISLAZIONE SOCIALE SUL LAVORO FEMMINILE: DALLA TUTELA ALLA PROMOZIONE DI UGUAGLIANZA DI OPPORTUNITÀ Il singolare rilievo che il lavoro assume nella Costituzione italiana appare chiaro sin dall’art. 1, in cui si afferma che l’Italia è una repubblica «fondata sul lavoro»; questa norma, sebbene non produca dirette conseguenze giuridiche in capo ai singoli, mostra come sia stata preoccupazione dei nostri costituenti assicurare una particolare protezione al lavoro. «L’art. 1 indica l’archetipo della società fondata dalla Costituzione, società nella quale il cittadino è valutato non più alla stregua di valori una volta ritenuti dominanti, quali il censo e il casato, ma esclusivamente in base all’apprezzamento della sua posizione professionale. Il lavoro, dunque, diviene espressione centrale ed assorbente delle caratteristiche di democrazia sostanziale del nostro ordinamento 1 ». La tutela delle donne e dei lavoratori minorenni ha costituito in quasi 1 L., GALANTINO, Formazione giurisprudenziale dei principi del diritto del lavoro, Giuffrè, 1981, p. 130.

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