Le azioni senza l'indicazione del valore nominale
La recente riforma del diritto societario ha introdotto la possibilità di emettere azioni prive del valore nominale. Prima dell'entrata in vigore di tale riforma, infatti, la legge richiedeva che in tutte le azioni dovesse essere indicato un eguale valore nominale espresso in cifra monetaria. Sotto l'influsso della normativa comunitaria, nel nostro ordinamento le azioni senza indicazione del valore nominale presuppongono comunque la conservazione del capitale sociale e la sua suddivisione in azioni. Le azioni dunque mantengono un valore contabile, sebbene non espressamente indicato, che è ricavabile dalla divisione del capitale sociale per il numero delle azioni emesse (c.d. parità contabile). Lo statuto pertanto dovrà indicare sia l'importo del capitale sociale che il numero delle azioni in cui è suddiviso, mentre non conterrà più alcuna indicazione in merito al valore nominale. Tuttavia, non bisogna pensare che il sistema del valore nominale inespresso sia circoscritto al nostro ordinamento o comunque ad ordinamenti che, per caratteristiche ed istituti, siano a noi affini. Nell'intraprendere il mio percorso di ricerca, infatti, ho avuto modo di apprezzare un'importante qualità delle azioni senza indicazione del valore nominale: la flessibilità, cioè la compatibilità con diversi ordinamenti. L'altra grande qualità delle azioni senza valore nominale sta poi nel fatto che esse comportano un'importante semplificazione nelle operazioni sul capitale, oltre che nelle operazioni sulle azioni e nelle operazioni di fusione e scissione ed hanno come ulteriore pregio quello di garantire alle società una notevole riduzione di spese. Nonostante tutti questi aspetti, le azioni senza valore nominale hanno però dato vita a delle accese discussioni in dottrina poiché talvolta tendono a "spostare" quell'equilibrio di interessi che nel nostro ordinamento era stato fissato in rapporto al sistema del valore nominale espresso; conseguentemente, esse creano in questi casi dei rilevanti problemi applicativi (si pensi, ad esempio, alle dispute in dottrina circa il divieto di emissione sotto la parità contabile). Occorrerà procedere allora ad una accurata analisi dei problemi giuridici legati all'applicazione di questo sistema, previa una sommaria descrizione dei principali istituti che sono stati "toccati" dalle azioni prive del valore nominale, in riferimento ai quali cioè sorgono queste problematiche. Lo scopo principale di questa ricerca, infatti, è duplice: in primo luogo, si vuole evidenziare come il sistema delle azioni prive di valore nominale sia compatibile con diversi ordinamenti; in secondo luogo, si vuole analizzare come questo fenomeno possa influire sugli aspetti organizzativi delle società. A questi fini, ho ritenuto opportuna una suddivisione in due parti: la prima dedicata ad uno studio di diritto comparato delle scelte dei vari ordinamenti europei ed extraeuropei, tesa a dimostrare di come il sistema delle azioni senza valore nominale possa inserirsi nella struttura del diritto azionario dei più svariati ordinamenti; la seconda limitata, invece, alla sola realtà italiana ed ai problemi interpretativi legati alle varie formulazioni normative post riforma. Al termine della seconda parte, infine, ho eseguito uno studio limitato ad un "campione" di società, tra quelle quotate presso Borsa Italiana s.p.a., giusto per avere un'idea sul grado di diffusione delle azioni senza indicazione del valore nominale e per cercare di capire quali siano le principali motivazioni che nella prassi spingono una società a fare questa scelta. Nella speranza di rendere più chiaro il percorso da seguire, riporto nella pagina seguente una "mappa concettuale" delle varie "tappe" che percorreremo nel nostro "viaggio".
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Informazioni tesi
Autore: | Davide Longo |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Lorenzo Stanghellini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 199 |
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