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La stabile organizzazione nel diritto interno

I rapporti giuridici sembrano diventare sempre più complessi in un mercato internazionale caratterizzato dalla tendenza delle aziende a delocalizzare la produzione in Paesi dove il costo del lavoro, e la normativa tributaria, le rendono più competitive.
La conclusione di accordi commerciali si accompagna sovente alla non facile scelta delle modalità operative più idonee a trasferire all’estero una funzione aziendale, ovvero a penetrare efficacemente mercati stranieri.
In tale contesto il ruolo della stabile organizzazione risulta peculiare nell’ambito della soluzione di problematiche insite alla pianificazione fiscale.
La stabile organizzazione, peraltro, è una delle figure più controverse del diritto tributario, anche in considerazione del fatto che prima della riforma fiscale di cui al D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, non era codificata nell’ordinamento italiano, ed è quindi rimasta per lungo tempo un’entità non ben definita.
La presente trattazione ripercorre l’evoluzione della nozione di “stabile organizzazione”, fino all’esegesi del nuovo articolo 162 del Testo Unico delle imposte sui redditi.
Durante l'analisi si è tentato di mantenere un approccio critico, sia nel coordinamento della nuova norma col diritto comunitario e con le norme pattizie, nell’ottica di risolvere le numerose fattispecie concrete emerse, sia in relazione alle questioni giuridiche relative all’ambito di applicazione dell’art. 162 T.U.I.R.
Ci si è inoltre interrogati sulla effettiva portata della riforma fiscale, in termini di vantaggi operativi post codificazione della stabile organizzazione, ovvero, alternativamente, in termini di permanenza di alcune criticità irrisolte.
La trattazione comprende sia l'ambito delle imposte dirette che quello delle imposte indirette.

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INTRODUZIONE 1 INTRODUZIONE Le imprese italiane sono coinvolte da diversi anni in un processo d’integrazione internazionale, favorito dalla crescente presenza di partner commerciali stranieri in Italia, e dall’intenzione di usufruire delle opportunità offerte dai mercati mondiali. La tendenza delle aziende a delocalizzare la produzione in Paesi dove il costo del lavoro, e la pressione fiscale, le rendono più competitive è un dato di fatto. La conclusione di accordi transnazionali, del resto, consente agli operatori nazionali di superare alcuni limiti propri del mercato domestico, e di avviare iniziative imprenditoriali qualitativamente e quantitativamente più allettanti. Tali condizioni sono favorite altresì dalla cosiddetta “globalizzazione”, di cui si parla ormai da tempo in quanto fenomeno che contraddistingue il nostro periodo storico, e di cui la dinamica evoluzione dei mercati è solo uno degli aspetti. 1 In questo contesto non è facile comprendere quali siano le modalità operative, e le scelte economicamente più strategiche per l’impresa, al fine di trasferire all’estero una funzione aziendale, ovvero penetrare efficacemente mercati stranieri. Tali scelte, tra l’altro, dovrebbero essere ponderate in relazione agli strumenti offerti, ed alle regole imposte, dal nostro ordinamento giuridico vigente. L’espansione all’estero di una società commerciale può realizzarsi con modalità 1 La “globalizzazione” indica la crescente interdipendenza tra i Paesi sotto molteplici punti di vista, non soltanto in termini economici, ma anche politici e sociali. Lo spazio geografico si riduce, grazie all’elevata velocità dei mezzi di comunicazione, dei flussi d’informazione e dei mezzi di trasporto. Cfr. J. Baylis – S. Smith, The Globalization of World Politics. An Introduction to International Relations, Oxford University Press, 1997.

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Parole chiave

commentario ocse
convenzioni
doppia imposizione
fiscalità internazionale
internazionalizzazione
libertà stabilimento
localizzazione reddito
ocse
residenza
riforma tributaria
stabile organizzazione
tassazione reddito

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