La conciliazione nel pubblico impiego
La devoluzione al giudice ordinario del contenzioso sul pubblico impiego privatizzato ha avuto come diretta e più evidente conseguenza un notevole aumento del carico di lavoro dell’autorità giudiziaria ordinaria,
Prevedendo tale circostanza, il legislatore ha individuato alcuni “filtri della litigiosità”, strumenti accomunati dalla finalità di deflazionare il carico di lavoro dei giudici, quali il tentativo obbligatorio di conciliazione ,disciplinato dall’art. 65 del D.Lgs. n.165/01 e l’arbitrato
Oggi, per adire il giudice del lavoro in primo grado, è necessario proporre istanza di tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto, quindi, quale “condizione di procedibilità” tanto nelle cause di lavoro privato, quanto per le cause sul pubblico impiego privatizzato.
Va ricordato a proposito dell’obbligatorietà che secondo una parte della dottrina la conciliazione per sua natura non può essere obbligata, deve sussistere un “animus conciliandi”, infatti la sua funzione primaria è quella di favorire una libera e volontaria opzione per una via alternativa all’esito processuale.
Il tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto, quale “condizione di procedibilità” ha sollevato notevoli perplessità sulla costituzionalità di tale istituto, al riguardo, è stata immediatamente interessata la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi su questa forma di “condizionamento” della giurisdizione, in considerazione del fatto che il sistema giudiziale italiano è imperniato sulla disposizione dell’art. 24 della Costituzione, il quale stabilisce che tutti “ possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.
La Corte si è pronunciata in merito alla legittimità Costituzionale della norma che ha reso obbligatorio il tentativo di conciliazione per le controversie di lavoro.
Con la sentenza n. 276 del 13 luglio 2000 La Corte ha sostanzialmente salvato la legittimità di questa condizione di procedibilità, La Corte ha ritenuto compatibile l’obbligatorietà con l’art. 24 della Costituzione e ha ribadito che la tutela del diritto di azione non significa che questa debba essere immediatamente esperita.
Il tentativo di conciliazione è sempre costituzionalmente legittimo, quando funge da filtro alla giurisdizione, tale istituto non configura una limitazione del diritto di agire in giudizio e di difesa, ma è uno strumento che da un lato non preclude, ne rende particolarmente gravoso l’esercizio dell’azione ex art. 24 Cost., dall’altro rende effettivo tale diritto perchè evitando il mal funzionamento degli uffici giudiziari a causa della mole del contenzioso, assicura la funzionalità della amministrazione della giustizia, né la violazione potrebbe sussistere, a parere della Corte, nell’eventuale ritardo che l’azione innanzi l’Autorità Giudiziaria andrebbe ad accumulare, perché l’art. 24 non garantisce l’immediatezza dell’azione, essendo possibili oneri ex legge finalizzati alla tutela di interessi superiori.
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Informazioni tesi
Autore: | Giovanni Careddu |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Sassari |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Scienze giuridiche |
Relatore: | Vittoria Passino |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 164 |
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