La clausola di irrilevanza del fatto nel processo penale minorile
Negli ultimi decenni si è verificato un progressivo passaggio dallo Stato “sociale”, attento ai bisogni reali della collettività, allo Stato “penale” che crede di poterli soddisfare allargando l’area della illiceità penale, ricorrendo ampiamente al carcere e prevedendo reazioni severe indipendentemente dall’effettiva gravità del fatto commesso. Nel tentativo di arginare il fenomeno di c.d. ipertrofia del diritto penale e consapevoli del fatto che la pena detentiva ha uno scarsissimo valore dissuasivo ma, al contempo, un elevato potenziale criminogeno se irrogata a fronte di reati di ridotta rilevanza sociale, gli ordinamenti giuridici di alcuni stati europei, compreso il nostro, hanno predisposto tutta una serie di strumenti accomunabili con il termine di “depenalizzazione”. La clausola di irrilevanza del fatto prevista dall’art.27 del codice di procedura penale minorile (d.p.r. 22 settembre 1988, n.448) costituisce uno di questi strumenti; in particolare, si tratta di un meccanismo di carattere sostanziale, che può essere attivato in ogni stato e grado del procedimento, mediante il quale è possibile escludere dall’area del “penalmente rilevante” forme di manifestazione del reato che abbiano perduto la carica criminale, allorché ricorrano i presupposti della tenuità del fatto, dell’occasionalità del comportamento nonché il potenziale pregiudizio per le esigenze educative del minorenne coinvolto nella vicenda processuale. Da quest’ultima condizione applicativa si evince come il proscioglimento per irrilevanza del fatto sia teso ad evitare che il contatto del minore con l’apparato giudiziario si trasformi da un evento rieducativo e responsabilizzante in un evento traumatizzante per la sua personalità in formazione.
Affinché siano salvaguardati, e quindi non pregiudicati, i processi educativi in atto nel minore è indispensabile che l’applicazione della clausola in parola, al pari di ogni altra formula “clemenziale” prevista dall’ordinamento interno, sia fondata su di una prognosi individualizzata. In tal senso, il giudice minorile, dopo aver valutato i fatti e la loro attribuibilità in capo all’imputato, non può esimersi dal compiere gli accertamenti sulla personalità prescritti dall’art.9 c.p.p.min. Di qui, è possibile affermare che tra la clausola di irrilevanza penale del fatto e le indagini personologiche intercorre un vero e proprio rapporto di funzionalità, poiché valutare il comportamento e le esigenze educative del giovane presuppone un’approfondita conoscenza della sua persona e del contesto familiare e sociale in cui è inserito.
Dopo esser stata sperimentata nell’ambito della giustizia minorile, la clausola di irrilevanza del fatto fu esportata, con un deliberato intento deflativo e di decongestionamento del carico giudiziario gravante sui tribunali ordinari, nel rito penale del giudice di pace. L’auspicio è che in futuro una clausola “generale” di scarsa rilevanza del fatto sia introdotta anche nel processo penale ordinario, così da riservare l’intervento giudiziario nei confronti dei soli fatti di maggiore gravità e allarme sociale.
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Informazioni tesi
Autore: | Veronica Marrapodi |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2011-12 |
Università: | Università Carlo Cattaneo - LIUC |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Gianluca Varraso |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 178 |
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