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L'abuso delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni: il caso Olanda

L’abuso delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni è una pratica elusiva particolarmente preoccupante per le Istituzioni europee e nazionali. Come qualsiasi altro abuso del diritto, infatti, tale pratica si insinua tra le maglie della legalità, sfruttando le precarietà insite in un sistema normativo instabile per natura, qual è, appunto, quello convenzionale. A ben vedere, la differenza rispetto a qualsiasi altra pratica di questo tipo è proprio la natura convenzionale delle norme eluse, che rende più difficile del normale predisporre una disciplina antiabuso veramente efficace, giacché eventuali discrepanze tra quella di uno Stato e quella di un altro ben potrebbero sortire un effetto opposto a quello voluto, esacerbando ulteriormente il problema che dovrebbero al contrario risolvere.
Da questo angolo di prospettiva, si può affermare che tale fenomeno costituisce un prodotto indesiderato del contrasto tra le spinte di unificazione del mercato europeo e globale e l’inadeguatezza dei vari sistemi normativi ai quali tale mercato deve necessariamente appoggiarsi, tutt’ora fortemente eterogenei, in quanto indissolubilmente ancorati ad un territorio di riferimento.
Tuttavia, se da un lato tale assetto è stato – ed è tuttora – la principale causa del problema, dall’altro consente, almeno in larga parte, di circoscriverlo soltanto a determinati ordinamenti nazionali, la cui struttura favorisce più di altri l’attuazione di tali pratiche. Le caratteristiche principali di questi "hub" internazionali sono una tassazione particolarmente favorevole del reddito di impresa e, soprattutto, una vasta rete convenzionale alla quale gli operatori economici possono attingere, nonché sistemi vantaggiosi di tax ruling ed una generale semplicità di costituzione delle società di capitali.
In questo contesto spicca, tra i Paesi dell'Unione Europea, l’Olanda. Tradizionalmente celebrata come Stato-modello per il loro sistema economico e fiscale, da alcuni anni il Paese si è trovato al centro di alcuni tra i più importanti casi di abuso dei trattati contro la doppia imposizione, tanto da guadagnarsi la fama di vero e proprio gateway europeo per lo spostamento off-shore del reddito di impresa.
L'obbiettivo della tesi è quello di fornire una panoramica quanto più esauriente e chiara possibile sull’argomento. Nel primo capitolo il lettore sarà introdotto al funzionamento e alla struttura delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, nonché alle modalità più frequenti con cui i grandi gruppi multinazionali tradizionalmente abusano dei diritti da esse derivanti, con la presentazione dei casi più noti.
Il secondo capitolo sarà invece dedicato specificatamente all’esperienza olandese: oggetto di trattazione saranno il suo sistema fiscale, la Convenzione in vigore con l’Italia e una serie di possibili schemi abusivi aventi ad oggetto quest’ultima. In particolare, saranno approfondite le possibilità oggi a disposizione di un gruppo societario operante tra l’Italia e i Paesi Bassi di sfruttare la Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra i due Stati. Ciò, come si vedrà, è sicuramente meno facile di un tempo, grazie ad una significativa evoluzione delle clausole antiabuso introdotte dall’OCSE, ma anche del sistema fiscale olandese, oggi molto meno tollerante nei confronti di operazioni conduit.
Infine, il terzo ed ultimo capitolo si concentrerà sulla disciplina antiabuso elaborata dall’ente di riferimento sul piano internazionale, ossia l’OCSE, in collaborazione con gli Stati del G20 e quelli del cd. Inclusive Framework, soprattutto nell’ambito del Progetto BEPS. Particolare attenzione sarà dedicata alle principali clausole antiabuso elaborate in seno a queste Istituzioni (Beneficial Owner Clause, Limitation on Benefits Clause e Principal Purpouse Test).
L’elaborato si conclude con una panoramica sulle modalità di implementazione di una disciplina antiabuso comune. Più precisamente, si fornirà una panoramica sul Multilateral Instrument (MLI) e sul recentissimo progetto GloBe, finalizzato all'introduzione di un'aliquota minima mondiale.

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21 Capitolo V: contiene il già citato art. 23, diviso nelle sue due sezioni A e B, relative ai metodi per evitare le doppie imposizioni. Esse trattano, rispettivamente, il metodo dell’esenzione e quello del credito di imposta. 2. Treaty shopping: definizione ed inquadramento del fenomeno Il principale obbiettivo di due Stati che stipulano un trattato internazionale contro la doppia imposizione è quello di garantire un’equa ripartizione dei rispettivi poteri impositivi. Questo, almeno nelle intenzioni delle parti stipulanti, dovrebbe incoraggiare gli investimenti degli operatori economici residenti che presentano situazioni reddituali transfrontaliere, a giovamento delle economie nazionali e dei relativi gettiti fiscali. Nessuna impresa con residenza italiana, ad esempio, aprirebbe mai una succursale negli Stati Uniti in assenza di una convenzione bilaterale che definisca chiaramente, tra le altre cose, le modalità e il luogo in cui il reddito di tale succursale verrà tassato, poiché esso, probabilmente, finirebbe per essere tassato in entrambi gli Stati. La fiscalità è un fattore determinante nella scelta dello Stato in cui investire, non soltanto con riferimento al sistema fiscale dello Stato in questione, ma anche in relazione alla Convenzione stipulata con il Paese di residenza. In realtà, come anticipato nelle pagine precedenti, talvolta il risultato conseguito dagli Stati stipulanti è diametralmente opposto a quello desiderato. Più di una grande impresa multinazionale, infatti, è salita negli ultimi anni agli onori della cronaca per aver posto in essere pratiche di abuso delle convenzioni internazionali stipulate tra gli Stati nei quali essa operava (cd. “treaty shopping”). Il treaty shopping consiste in una pratica di pianificazione fiscale aggressiva diretta a sfruttare una o più convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, al fine di ottenere vantaggi fiscali altrimenti non spettanti, fino ad arrivare, nei casi più estremi, ad una doppia non imposizione internazionale. L’abuso in questione è stato efficacemente definito da Piergiorgio Valente come “una tecnica basata su un accorto utilizzo delle differenze esistenti tra gli Stati nella

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