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L’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione sulla imputabilità a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite 9163/05

La Suprema Corte, con tal enunciato, ha posto fine ad un tortuoso percorso ermeneutico che ha visto coinvolti, ad un tempo, il Legislatore, la giurisprudenza e la scienza psichiatrica in un dibattito che ha radici antiche e che abbraccia i concetti di capacità di intendere e di volere del soggetto agente, di imputabilità, di colpevolezza, di infermità mentale.

In particolare, la formulazione di un giudizio sull’imputabilità di un soggetto non è mai stata particolarmente agevole, poiché il giurista è da sempre chiamato a conciliare esigenze importanti, come la necessità di conoscere e comprendere le molteplici teorie di matrice anche psichiatrica relative alla disciplina dettata in tema di imputabilità, oltre all’esigenza di evitare una strumentalizzazione dell’istituto a favore di rei, in realtà capaci di intendere e volere.

La presente dissertazione si propone dunque di studiare il concetto di imputabilità partendo da un breve esame del sistema penale italiano, con riferimento in particolare alle cause di esclusione o di diminuzione della capacità di intendere e volere rappresentate dal vizio totale e dal vizio parziale di mente (artt. 88 e 89 c.p.).

Successivamente, alla luce delle più moderne acquisizioni delle scienze mediche, si affronterà il problema della definizione di “infermità”, sulla base dei principali modelli interpretativi accolti dalla dottrina.

Solo in seconda battuta sarà possibile analizzare i diversi orientamenti giurisprudenziali, allo scopo di stabilire quale sia l’indirizzo prevalente per quanto riguarda la valenza dei disturbi della personalità ai fini della valutazione dell’imputabilità del soggetto.

L’ultima parte dell’elaborato è invece dedicata interamente allo studio della sentenza della Corte di Cassazione n. 9163/2005, in base alla quale, appunto, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, rientrano nel concetto di infermità anche i gravi disturbi della personalità.

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I PREMESSA 1. CONTENUTO DELLA TRATTAZIONE Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, rientrano nel concetto di infermità anche i gravi disturbi della personalità, a condizione che il giudice ne accerti la gravità e l’intensità, tali da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere o di volere, e il nesso eziologico con la specifica azione criminosa. Corte di Cassazione, Sentenza n. 9163/2005 La Suprema Corte, con tal enunciato, ha posto fine ad un tortuoso percorso ermeneutico che ha visto coinvolti, ad un tempo, il Legislatore, la giurisprudenza e la scienza psichiatrica in un dibattito che ha radici antiche e che abbraccia i concetti di capacità di intendere e di volere del soggetto agente, di imputabilità, di colpevolezza, di infermità mentale. In particolare, la formulazione di un giudizio sull’imputabilità di un soggetto non è mai stata particolarmente agevole, poiché il giurista è da sempre chiamato a conciliare esigenze importanti, come la necessità di conoscere e comprendere le molteplici teorie di matrice anche psichiatrica relative alla disciplina dettata in tema di imputabilità, oltre all’esigenza di evitare una strumentalizzazione dell’istituto a favore di rei, in realtà capaci di intendere e volere.

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Informazioni tesi

  Autore: Roberto Melchiorre
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2005-06
  Università: Università degli Studi dell'Insubria
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Scienze giuridiche
  Relatore: Grazia Mannozzi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 45

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