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I delitti contro il sentimento religioso

Fin dagli anni ’30, con l’emanazione del Codice penale Rocco, si è sempre posto l’accento sulla rilevanza sociale e politica che rivestiva, in quel periodo, l’istituzione Chiesa (nonché tutti i suoi eminenti membri ad iniziare dal Sommo Pontefice e a continuare con i Vescovi), tanto da inserire negli articoli 423 e seguenti del suddetto codice tutte quelle fattispecie che, secondo la ratio del legislatore, erano meritevoli di tutela penale.
Lo scenario cambia già da subito, e precisamente dal 1 gennaio 1952, anno dell’entrata in vigore della Costituzione della neo Repubblica Italiana.
Gli artt. 7 ed 8 della Costituzione parlano rispettivamente dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, e di quelli tra lo Stato e le altre confessioni religiose.

Da quanto appena affermato, quindi possiamo ben capire che le norme di cui agli articoli 423 e seguenti del codice Rocco, alla luce dell’emanazione della Costituzione, risultano già essere obsoleti e, di conseguenza, inutilizzabili.
Questo movimento di riforma dei suddetti articoli inizia già nel 1956, in cui la Corte Costituzionale, con le sentenze 5-4 giugno 1956, n. 1 e 8-18 marzo 1957, n. 45, dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 113 (prima) e 25 del T.U.L.P.S. del 1931, in quanto in netto contrasto con la Costituzione e, per la seconda pronuncia, con il dettato di cui all’art. 17 della stessa Carta Costituzionale.
Il primo intervento in tema di bestemmia giunge a poco più di un anno dal provvedimento in tema di vilipendio di cose; infatti la Corte, con la sentenza 18-30 dicembre 1958, n. 79, respinge la questione di legittimità costituzionale dell’art. 724 c.p., sempre in riferimento agli artt. 7 ed 8 della Costituzione. In sostanza, per la Consulta, le disposizioni nelle quali si fa cenno alla religione dello Stato “danno rilevanza non già ad una qualificazione formale della religione cattolica, bensì alla circostanza che essa è professata nello Stato italiano dalla quasi totalità dei suoi cittadini, e come tale è meritevole di particolare tutela penale, per la maggiore ampiezza ed intensità delle reazioni sociali naturalmente suscitate dalle offese ad essa dirette”.
Come già abbiamo accennato, la Corte non ha mai avvalorato la costituzionalità degli artt. 402-406 e 724 c.p. sulla base della constatazione meramente formale (ma non sostanziale) della sopravvivenza del principio confessionista ma, per altre vie e con diversificate argomentazioni relative all’ammissibilità di un trattamento differenziato consentito dalla stessa Carta costituzionale, in riferimento alla rilevanza sociologica della religione cattolica nel contesto nazionale o come norme poste a tutela del sentimento religioso individuale.
La sentenza 18 ottobre 1995, n. 440 segna un profondo cambiamento di rotta della giurisprudenza costituzionale anche in ordine ai delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi, nella direzione di una maggiore sensibilità nei confronti delle censure di disuguaglianza.
Sul piano pratico, la novellata fattispecie di cui all’art. 724 c.p., che per l’avvenire prevede la punibilità di qualunque bestemmia contro la divinità e la qualificazione di “contravvenzione” per le bestemmie verso le persone diverse dalla Divinità stessa (ad es. la Madonna e i santi), pone seri problemi in relazione alla circostanza che alcune religioni non possiedono ciò che può definirsi una divinità, in senso proprio, mentre altri ne hanno più di una e quindi rimarrebbero pur sempre escluse dalla tutela apprestata dalla disposizione de qua.
Con la sentenza 168 del 2005, la Corte Costituzionale, avendo riscontrato che l’art. 403 c.p., nella sua originaria formulazione, ledeva sia le esigenze costituzionali di uguale protezione del sentimento religioso, sia il principio di rango costituzionale di laicità e non confessionalità dello Stato, lo ha dichiarato parzialmente illegittimo “nella parte in cui prevede, per le offese alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro di culto, la pena della reclusione da uno fino a tre anni, anziché la pena diminuita stabilita dall’art. 406”.
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 168 del 2005, un notevole punto fermo nella trattazione della materia è stato fatto dal nostro legislatore; infatti, il Parlamento ha approvato in via definitiva le modifiche al codice penale in materia di reati di opinione. Le novità sostanziali della nuova disciplina della materia riguardano ambiti di una certa rilevanza; in particolare, si evidenzia che sono rilevanti l’introduzione dell’istituto della depenalizzazione dei reati di vilipendio (anche dal punto di vista terminologico) e della definitiva eguaglianza (ex art. 3 della Carta Costituzionale) tra la religione cattolica e le altre confessioni religiose.

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7 PREMESSA I reati in tema di religione sono legati alle vicende del concetto penalistico generale di bene giuridico; per bene giuridico, si indica quel quid che la norma tutela, con la minaccia della pena, da possibili violazioni. Secondo parte della dottrina, il concetto di bene giuridico è uno dei cardini, delle pietre angolari, della scienza criminalistica ed il modello del reato come offesa a quel bene ha il rango di principio costituzionale 1 . In altre parole, se formalmente il reato è violazione della norma giuridica, sostanzialmente consiste nell’offesa del bene che la norma intende proteggere. Il sentimento religioso, che vive nell’intimo della coscienza individuale e si estende anche a gruppi più o meno numerosi di persone legate tra loro dal vincolo della professione di fede comune, è da considerare tra i beni costituzionalmente rilevanti 2 . Esso viene valutato in Costituzione, in quanto collegato al singolo individuo ed ai gruppi sociali religiosi in cui si sviluppa ed affina la personalità individuale. Il sentimento religioso acquisisce non solo spessore temporale ed estensione nello spazio della comunità ma anche un contenuto stabile e una valutazione uniforme da parte dei consociati. Il sentimento religioso come bene giuridico viene considerato e tutelato sotto un duplice aspetto: sotto l’aspetto della persona, come bene inalienabile della vita interiore; e sotto l’aspetto della collettività come bene della società. Il Titolo IV del libro II del codice penale prevede i delitti che offendono il sentimento religioso (e cioè la religione e le sue manifestazioni esteriori) e la pietà dei defunti (inteso come rispetto per le entità che trascendono la vita 1 F. Antolisei, Manuale di diritto penale – Parte generale, Giuffrè Editore, 2003, Milano 2 Così risulta coordinando gli artt. 2,8 e 19 della Costituzione; esso è, inoltre, indirettamente confermato dal primo comma dell’art. 3 e dall’art. 20. La considerazione del sentimento religioso come valore tutelato rappresenta un punto fondamentale nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in merito ai reati in tema di religione.

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