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Discriminazioni e pregiudizi di genere nelle Forze Armate italiane. Uno sguardo dall'interno

Il tema delle donne nelle forze armate non è mai stato scevro da pregiudizi e precognizioni.
I termini “soldato”, “marinaio”, “aviere” o “carabiniere” indubbiamente ancora oggi non contemplano almeno istintivamente, la figura femminile nei ruoli cosiddetti “operativi” e di combattimento. D’altro canto la donna però non è mai stata vista come figura completamente avulsa dalle compagini gerarchiche armate, avendo ricoperto, seppur in via temporanea e contingente, ruoli di carattere logistico ognitempo e in qualunque parte del mondo. In realtà si hanno non pochi esempi di donne che hanno servito “a mano armata” una causa “bellica” con compiti operativi di assoluto prim’ordine, affatto sfigurando verso i colleghi uomini.
Al di là della partecipazione armata e in massa delle donne durante le vicende più drammatiche delle rispettive comunità, la presenza femminile in pianta stabile – ovvero anche in periodi non bellici - nelle forze armate ha assunto carattere di “normalità” solo col nuovo millennio. Escluse alcune eccezioni, la coscrizione obbligatoria delle donne in tempo di pace nei paesi occidentali non è mai stata contemplata, mentre il periodo di start-up e perfezionamento degli arruolamenti femminili su base stabile e volontaria nei paesi dell’area Nato è cominciato più tardi del secondo dopoguerra e si è concluso alle soglie del 2000.
L’Italia è stato il paese ultimo ad adottare una legge che consentisse l’ingresso permanente delle donne nei propri ranghi, nonostante le prime esperienze si siano avute alla fine della Seconda guerra mondiale, quando la Repubblica Sociale si dotò di un Servizio ausiliario femminile, mentre nel regno del Sud venne istituito un Corpo ausiliario femminile. Entrambe le iniziative si conclusero però nell’arco di alcuni mesi.
“L’intersezionalità esamina criticamente la particolare situazione qualitativamente diversa vissuta da una persona a causa dell’interazione simultanea tra più categorie dell’identità” e analizza “come l’interazione tra strutture riproduca tale condizione” e come “le categorie di identità e le strutture [siano] in continua interazione tra loro”.
A oltre vent’anni dall’adozione di un provvedimento legislativo tra i più rivoluzionari per la comunità dei cittadini italiani, quello che ha consentito l’ingresso della componente femminile nelle forze armate, i quesiti che vengono ancora rivolti inerenti tale tematica si riferiscono allo stato di integrazione, di discriminazione e di efficienza delle donne con le stellette.
Per analizzare la questione non appare così fuori luogo operare un accostamento metaforico “alla Crenshaw” immaginando la donna militare che si trovi immersa in un contesto una volta così tradizionalmente maschile, come fosse al centro di una “intersezione stradale” dalla quale partano tante strade quante sono le categorie a ella simultaneamente riferibili: donna, moglie, madre, militare esecutore, militare comandante. Esaminando più da vicino le ricerche che sono state compiute in merito, ci si accorge che in realtà la teoria dell’intersezionalità è stata, seppur involontariamente, usata molto più spesso di quanto si pensi e la categorializzazione testé riferita – fatta esclusione per la differenziazione tra militare esecutore e comandante - ne rappresenta la primaria dimostrazione. Del resto se è vero che la teoria dell’intersezionalità rappresenta un “work in progress” dal quale “emergono sempre nuovi interessi a cui la teoria può rivolgersi” e che ciò fa escludere l’esistenza di “un luogo a priori” da considerarsi quale dimora esclusiva e naturale della teoria, e se anche vero che l’ingrediente fondamentale della teoria è la “categoria sociale”, va riconosciuto che la legge 380/1999 “Delega al governo per l’istituzione del servizio militare volontario femminile”, ha generato una nuova categoria sociale; questa, con i dovuti adattamenti, può allora a pieno titolo essere analizzata nei termini propri dell’intersezionalità e delle eventuali complicazioni dovute a fenomeni discriminatori insite nella natura della nuova gerarchia sociale di conseguenza creatasi.
Anche alla luce dell’esperienza diretta maturata nell’Esercito dal redattore, questo elaborato passa brevemente in rassegna la storia e la condizione attuale della discriminazione diretta e indiretta eventualmente subita dal personale femminile nelle forze armate italiane, nonché l’analisi dello “stato dell’arte” dei provvedimenti normativi adottati tesi a eliminare tale condizione, nonché la loro efficacia.

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2 Introduzione “L’intersezionalità esamina criticamente la particolare situazione qualitativamente diversa vissuta da una persona a causa dell’interazione simultanea tra più categorie dell’identità” 1 e analizza “come l’interazione tra strutture riproduca tale condizione” 2 e come “le categorie di identità e le strutture [siano] in continua interazione tra loro” 3 . A oltre vent’anni dall’adozione di un provvedimento legislativo tra i più rivoluzionari per la comunità dei cittadini italiani, quello che ha consentito l’ingresso della componente femminile nelle forze armate, i quesiti che vengono ancora rivolti inerenti tale tematica si riferiscono allo stato di integrazione, di discriminazione e di efficienza delle donne con le stellette. Per analizzare la questione non appare così fuori luogo operare un accostamento metaforico “alla Crenshaw” immaginando la donna militare che si trovi immersa in un contesto una volta così tradizionalmente maschile, come fosse al centro di una “intersezione stradale” 4 dalla quale partano tante strade quante sono le categorie a ella simultaneamente riferibili: donna, moglie, madre, militare esecutore, militare comandante. 5 Esaminando più da vicino le ricerche che sono state compiute in merito, ci si accorge che in realtà la teoria dell’intersezionalità è stata, seppur involontariamente, usata molto più spesso di quanto si pensi e la categorializzazione testé riferita – fatta esclusione per la differenziazione tra militare esecutore e comandante - ne rappresenta la primaria dimostrazione. Del resto se è vero che la teoria dell’intersezionalità rappresenta un “work in progress” dal quale “emergono sempre nuovi interessi a cui la teoria può rivolgersi” 6 e che ciò fa escludere l’esistenza di “un luogo a priori” 7 da considerarsi quale dimora esclusiva e naturale della teoria, e se anche vero 1 G.B.Bello, Intersezionalità – Teorie e pratiche tra diritto e società, Franco Angeli (2020), pag.29. 2 Ibid. 3 Ibid. 4 Ibid. 5 Quantunque mai considerato nella trattazione della tematica delle donne nelle FFAA, la differenziazione dei ruoli interni la scala gerarchica - che prescinde dal genere del militare - implica livelli di responsabilità decisionale e di iniziativa che non possono considerarsi ininfluenti sull’attività insita della condizione del cittadino con le stellette e sulla conseguente ricaduta di stress interno e “vivibilità” di tale condizione anche da parte della donna militare. Benché sia quindi formalmente corretto considerare tutti i militari quali esecutori di ordini, ai fini della bontà dell’aderenza della teoria della intersezionalità qui ipotizzata, non può non doversi operare una distinzione categoriale tra il militare prettamente – ma non “cieco” - esecutore di compiti assegnati (posizioni medio-basse della scala gerarchica) dal militare che ha anche e soprattutto responsabilità gestionali, di coordinamento e indirizzo con uomini e donne alle dipendenze dirette (soprattutto ma non esclusivamente categoria ufficiali). 6 G.B.Bello, pag.59. 7 Ibid.

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