Realismo e psicologismo nella novella ''Il rosario'' di Federico De Roberto
La novella Il rosario esce nel 1890 all’interno di una raccolta intitolata Processi verbali; come lo stesso autore avverte nell’introduzione, si tratta di una raccolta ispirata ai più rigorosi criteri di impersonalità, vale a dire un tipo di scrittura che eviti accuratamente qualsiasi tratto di narrazione psicologica. È interessante tuttavia notare come il vero centro di interesse di questa novella siano non “i fatti” esteriori e visibili ma tutti i movimenti interiori dei personaggi, e come il mondo al suo interno vari e cambi in corrispondenza dei cambiamenti psicologici di questi, che partendo da una situazione di maturità mutilata e di coscienza bloccata ad un io infantile si evolvono fino ad un’emotività adulta e indipendente.
Anche la spazialità del racconto è funzionale a questo scopo: la scena iniziale presenta infatti le tre donne protagoniste in una situazione di confine, all’uscio del giardino, che diventa quindi il corrispettivo di una situazione psicologica di impasse dalla quale è per il momento impossibile uscire; significativamente, si allontaneranno da questa zona, fisica e psicologica, nel momento in cui cominceranno ad acquistare maggiore consapevolezza di sé e della necessità di operare qualche cambiamento, mentre addirittura Caterina, il cui arco di trasformazione sarà il più completo, ne uscirà per recare soccorso alla sorella a dispetto dei divieti materni sancendo così la sua crescita definitiva; il rosario, momento conclusivo di affermazione di sé, ha luogo infatti all’interno della casa, lo spazio che figura il luogo più privato e profondo della coscienza di ognuno.
Analogamente, come lo spazio è rivelatore dell’interiorità delle tre sorelle, anche i personaggi di contorno, in cui è riconoscibile l’archetipo del messaggero, diventano determinanti per la perspicuità dell’evoluzione psicologica dei personaggi; se infatti i richiami grossolani e concitati della comare Angela a mettere giudizio e quindi a crescere rimangono inizialmente inascoltati, essi hanno però l’effetto di mettere in moto una presa di coscienza che l’intervento di un altro messaggero, sebbene più debole, riuscirà a trasformare in impulso all’azione.
Anche le azioni e gli atteggiamenti delle tre sorelle cambiano con l’evolversi della loro coscienza, così come cambia il loro trattamento da parte dell’autore, che all’inizio le ritrae in maniera collettiva, tutte quante tese a negare la gravità di quanto avviene; dal momento del loro abbandono da parte della comare Angela esse, ormai costrette ad una scelta, cominciano ad agire. È il momento in cui Caterina emerge sulle altre prendendosene carico; la sua fuoriuscita dal cancello, momento centrale del racconto, che strutturalmente subisce un’inversione, rappresenta la sua fuoriuscita dallo stadio emotivamente infantile in cui si trovava prima e segnala la conclusione del suo percorso di formazione, che di lì a poco sarà messo in discussione dall’incontro – scontro con la madre.
Tutto il racconto è in realtà orchestrato in funzione di questo momento, e ancora una volta la sua collocazione non è casuale, perché avviene solo quando Caterina è pronta per sostenerlo, cioè a un certo punto della sua crescita. La figura della madre rappresenta l’oggettivazione di tutte le precedenti mancanze delle sorelle quali responsabilità, autosufficienza ed emotività adulta, in lei declinate in autoritarismo; in questo senso essa è assimilabile all’archetipo dell’ombra, quella zona di noi stessi con cui lottiamo sempre per contrastare cattive abitudini e vecchi timori, che se lasciata inespressa può trasformarsi in ostacoli e paure insuperabili.
Anche il linguaggio del narratore ha una sua precisa collocazione nell’economia della vicenda: De Roberto mette in scena un dialogo svelto e scarno, che anziché essere comunicazione diventa isolamento, allontanamento dell’altro da sé: è riconoscibile la volontà di evitare la narrazione, di annullare ogni intreccio con i suoi poli tradizionali di un inizio e una fine, così da dare al materiale narrativo una dislocazione unidimensionale che insinua una suggestione di immobilità. Il gioco della “quinta straniante”, la preghiera finale, assolve proprio a questo compito, quello di rappresentare una controspinta negativa a qualsiasi manovra razionalizzatrice: Il rosario racconta di una paralisi spirituale che si rispecchia in una paralisi del discorso.
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Informazioni tesi
Autore: | Matteo Chiani |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2007-08 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere |
Relatore: | Claudio Milanini |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 37 |
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