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Le forme individuali di previdenza attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita e la nuova disciplina della previdenza complementare (D. Lgs. 252/2005)

La previdenza complementare nasce in Italia con il decreto legislativo n. 124/1993 –poi modificato dalla legge n. 335/95 – con l’obiettivo di garantire “più elevati livelli di copertura previdenziale” a fronte di una previdenza di base che offrirà prestazioni sempre più ridotte alla maggior parte dei lavoratori, specie alle giovani generazioni.
La riforma pensionistica, avviata nel 1992 dal governo Amato e portata a termine nel 1995 dal governo Dini, comporterà, infatti, una drastica riduzione delle prestazioni pensionistiche. Il metodo di calcolo contributivo, introdotto nel 1995, darà luogo, a regime, a livelli di copertura previdenziale nell’ordine del 50/55% dell’ultima retribuzione, contro il 70/80% che era possibile raggiungere con il metodo retributivo.
Nel 2001 il governo, procedendo alla verifica dello stato di salute del sistema previdenziale, ha riscontrato il conseguimento dei risparmi di spesa previsti dalle precedenti riforme, ma ha altresì identificato il mancato decollo della previdenza complementare. Da questa verifica è nato un progetto di legge delega incentrato, oltre che sulla ulteriore riduzione della spesa pensionistica, proprio sulla necessità improrogabile di dare una forte spinta alla previdenza integrativa; il provvedimento, dopo due anni e mezzo di “navigazione” parlamentare, è divenuto legge il 23 agosto 2004 (legge n. 243/2004).
In attuazione di quanto previsto dalla delega, il 24 novembre 2005 il Consiglio dei Ministri ha finalmente approvato, dopo oltre un anno di confronto con le parti sociali, il decreto legislativo n. 252/2005 “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”, stabilendone, all’ultimo minuto, il rinvio dell’entrata in vigore al 1° gennaio 2008.
Il provvedimento, meglio noto come Riforma del TFR, costituisce il nuovo testo di riferimento in materia di previdenza complementare, in sostituzione del decreto legislativo n. 124/1993, con l’obiettivo di incrementare l’entità dei flussi di finanziamento alle forme pensionistiche complementari individuali e collettive. Per raggiungere tale risultato il decreto 252 introduce importanti cambiamenti quali l’equiparazione tra forme pensionistiche complementari, una migliore tutela degli iscritti e maggiori incentivi fiscali; ma la novità principale, sulla quale si è a lungo discusso, riguarda il conferimento del TFR maturando alla previdenza complementare tramite una procedura di silenzio-assenso.
In pratica, il lavoratore avrà sei mesi di tempo, a partire dal 1° gennaio 2008 o dalla data di assunzione se successiva, per decidere sulla destinazione del suo flusso annuo di TFR e potrà scegliere di mantenerlo in azienda o di farlo confluire in una forma pensionistica complementare, collettiva o individuale, a sua scelta; qualora, invece, nel corso dei sei mesi questi non esprima alcuna preferenza, il TFR confluirà nel Fondo pensione previsto dal contratto collettivo, da accordo aziendale o, in mancanza, presso una forma pensionistica collettiva residuale costituita presso l’INPS. A fronte della devoluzione del TFR, alle imprese saranno riconosciute agevolazioni fiscali e contributive nonché l’accesso semplificato ed agevolato al sistema del credito bancario.
Il lungo e tormentato iter di approvazione del provvedimento è stato sicuramente frutto dell’importanza della posta in gioco: il flusso annuo di TFR è stimato infatti intorno ai 14 miliardi di euro, cui vanno aggiunti circa 4 miliardi di euro di contributi a carico dei datori di lavoro.
Tutte le parti in causa hanno cercato di tutelare al meglio i propri interessi e la decisione di rinviare l’entrata in vigore al 2008, presa all’ultimo minuto, testimonia le difficoltà di concordare una soluzione che accontentasse tutti gli attori.
Le imprese (in primis Confindustria) hanno manifestato la propria preoccupazione per la possibile perdita del TFR come fonte di autofinanziamento a buon mercato, chiedendo in cambio le compensazioni previste dalla delega, secondo cui il conferimento del trattamento di fine rapporto è subordinato “all'assenza di oneri per le imprese”.
I sindacati si sono battuti per garantire una “corsia preferenziale” ai Fondi pensione negoziali come destinatari del TFR a seguito del meccanismo di silenzio-assenso.
Le banche (ABI), oltre ad opporsi al meccanismo di concessione automatica del credito alle imprese, hanno cercato di contrastare le richieste dei sindacati a favore dei Fondi Chiusi al fine di tutelare il business dei Fondi Aperti offerti anche dagli istituti di credito.
Le compagnie di assicurazione (ANIA), hanno a lungo battagliato per la piena attuazione del principio di equiparazione tra forme pensionistiche complementari previsto dalla Delega, a tutela della possibilità di allocazione del TFR e del contributo datoriale nei Fondi Aperti e nelle Polizze Individuali Previdenziali.

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VII - INTRODUZIONE - La previdenza complementare nasce in Italia con il decreto legislativo n. 124/1993 – poi modificato dalla legge n. 335/95 – con l’obiettivo di garantire “più elevati livelli di copertura previdenziale” a fronte di una previdenza di base che offrirà prestazioni sempre più ridotte alla maggior parte dei lavoratori, specie alle giovani generazioni. La riforma pensionistica, avviata nel 1992 dal governo Amato e portata a termine nel 1995 dal governo Dini, comporterà, infatti, una drastica riduzione delle prestazioni pensionistiche. Il metodo di calcolo contributivo, introdotto nel 1995, darà luogo, a regime, a livelli di copertura previdenziale nell’ordine del 50/55% dell’ultima retribuzione, contro il 70/80% che era possibile raggiungere con il metodo retributivo. I provvedimenti citati, cui fa seguito nel 1997 un ulteriore aggiustamento apportato dal governo Prodi, avevano l’obiettivo di riportare in equilibrio un sistema che da diversi anni manifestava segnali di difficoltà, con una riduzione delle entrate contributive, dovuta alla crisi del mercato del lavoro, ed un aumento della spesa pensionistica, dovuto al raggiungimento dell’età pensionabile da parte di generazioni consistenti di lavoratori e alla crisi demografica porta ad un progressivo invecchiamento della popolazione. Nel 2001 il governo, procedendo alla verifica dello stato di salute del sistema previdenziale, ha riscontrato il conseguimento dei risparmi di spesa previsti dalle precedenti riforme, ma ha altresì identificato il mancato decollo della previdenza complementare. Da questa verifica è nato un progetto di legge delega incentrato, oltre che sulla ulteriore riduzione della spesa pensionistica, proprio sulla necessità improrogabile di dare una forte spinta alla previdenza integrativa; il provvedimento, dopo due anni e mezzo di “navigazione” parlamentare, è divenuto legge il 23 agosto 2004 (legge n. 243/2004).

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