Argentina 2001: una crisi lunga venticinque anni
La crisi economica scoppiata in Argentina nel dicembre 2001, culminata con le dimostrazioni di piazza e la dichiarazione di default su parte del debito estero, costituisce un evento cruciale nella storia recente di questo paese, con gravi ripercussioni sulla crescita, sul tessuto sociale e sul quadro istituzionale complessivo. L’esplosione della crisi finanziaria (valutaria, bancaria, debitoria) trova nell’elevato debito estero, nel deficit fiscale, nella parità con il dollaro e nell’operato del FMI le sue cause più prossime, ma affonda le radici nelle politiche economiche degli ultimi decenni e più in generale nei limiti strutturali che hanno caratterizzato l’Argentina fin dal XIX secolo.
In particolare oggetto del lavoro è l'evoluzione dell'economia argentina nel periodo compreso tra il 1976 e il 2001. Si tratta in totale di venticinque anni segnati da un complessivo declino economico, con una diminuzione netta del PIL pro capite e il peggioramento delle condizioni di vita degli argentini (disoccupazione, povertà, concentrazione del reddito). Fra le cause di tale andamento economico vi sono fattori che rappresentano delle costanti nella storia del paese, debolezze strutturali che non hanno permesso all’Argentina di procedere verso l’atteso progresso, ma l’hanno accompagnata in una lenta ed altalenante decadenza lungo gran parte del XX secolo. Eccone le principali:
- la mancata strutturazione di un sistema politico in grado di guidare lo sviluppo del paese, ostaggio dei diversi gruppi di interesse (fra cui i militari) e impegnato – dalla seconda metà del XX secolo – a distribuire risorse per mantenere il consenso (da cui un ipertrofico apparato pubblico, un deficit costante e un’inflazione cronica);
- il conflitto – originante nella specifica strutturazione geografica e nella differente strategia di sviluppo perseguita – fra le province interne e la città di Buenos Aires: emblema di questo scontro erano state nel XIX secolo le guerre civili, che poi hanno lasciato il posto ad un inefficiente sistema di compartecipazione fiscale;
- la dipendenza nei confronti dei flussi di capitali internazionali, a causa dei bassi livelli di risparmio della popolazione, e una storia plurisecolare di indebitamento estero;
- un’industrializzazione tardiva e inefficiente, la mancanza di una sana relazione tra settore primario e manifatturiero e la continua distorsione dei prezzi relativi, a scapito dei settori esportatori;
A ciò si aggiungano ulteriori elementi emersi a partire dal 1976 e presenti, con diverse sfaccettature, nel periodo che culmina con la crisi del 2001:
- la liberalizzazione e deregolamentazione del settore finanziario con l’esplosione dei flussi di capitale e dell’indebitamento in valuta estera;
- l’apertura unilaterale e repentina dell’economia con la conseguente disarticolazione del sistema produttivo (deindustrializzazione), dove emergono grandi gruppi in grado di reggere la concorrenza internazionale, perché focalizzati sulla produzione e l’esportazione di pochi beni di base, mentre numerose piccole e medie imprese vengono spazzate via;
- le privatizzazioni di gran parte delle imprese pubbliche, realizzate senza la dovuta supervisione e che si sono limitate a registrare il passaggio di monopoli dallo Stato alle mani private, accentuando la concentrazione del potere economico.
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Informazioni tesi
Autore: | Francesco Meucci |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Relazioni internazionali |
Relatore: | Luciano Segreto |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 219 |
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