Maastricht e dopo Maastricht: l’impatto della convergenza finanziaria sulle variabili reali
Scopo del presente lavoro è quello di verificare cosa è successo alle variabili reali europee (in particolare la crescita, l’occupazione, la disoccupazione e il livello degli investimenti) nei tre momenti “prima”, “durante” e “dopo” Maastricht.
Dato l’andamento estremamente divergente riscontrato in tali variabili, gli economisti hanno effettuato un’analisi costi-benefici dell’adesione di un paese ad un’area valutaria ed hanno concluso che l’Unione europea è un’area monetaria non ottimale, soprattutto rispetto ad altre aree valutarie consolidate come Stati Uniti o Canada. Così la nuova politica economica (dove la politica fiscale è sostanzialmente subordinata a quella monetaria) dovrà puntare ad un maggiore coordinamento, soprattutto in visione dell’allargamento dell’Unione all’Est europeo (paesi PECO e CEEC).
I motivi della divergenza riscontrata nelle variabili reali dei diversi paesi europei traggono origine, anzitutto, dall’impostazione data dal Trattato di Maastricht ai diversi parametri che risultano fortemente asimmetrici, come pure non equilibrata risulta la politica monetaria imposta, a livello accentrato, dalla Banca Centrale Europea. Il timore che la convergenza finanziaria di Maastricht possa generare shock asimmetrici che si potrebbero ripercuotere sugli altri Stati è rafforzata dalla letteratura dell’”Unholy Trinity” secondo la quale vi è sostanziale incompatibilità tra elementi caratteristici dell’UME: la perfetta mobilità dei capitali, i regimi di cambio fissi e l’indipendenza della politica monetaria. D’altra parte, non possono essere trascurati neanche i meccanismi classici di trasmissione degli effetti delle manovre di politica monetaria e fiscale: la letteratura del fiscal adjustment (fiscal expansion e fiscal consolidation) e del balance sheet channel e del bank loans channel, dimostra che il classico Modello Mundell-Fleming risulta solo uno dei diversi casi possibili e che, in definitiva, il meccanismi di trasmissioni della politica economica non risultano così lineari come si potrebbe apparentemente pensare.
Le proposte di hedging vanno dai suggerimenti classici forniti dalla Teoria dell’Optimum Currency Area (flessibilità del mercato del lavoro e, in particolare, il ruolo chiave svolto in tal senso dai sussidi alla disoccupazione) alle considerazioni relative alla fiscalità europea nel senso di dover definire un assetto di equilibrio tra autonomia e coordinamento fiscale, scegliendo tra federalismo fiscale o meccanismi di fiscal coinsurance. La strategia della competitive disinflation viene notevolmente rivalutata da quanti la considerano uno dei pochi strumenti rimasti a disposizione degli Stati membri per fronteggiare qualunque shock asimmetrico.
Il grado di apertura commerciale dell’UME (e quindi il suo potenziale livello di esposizione a shock derivanti dal settore commerciale internazionale) è inferiore a quello degli Stati Uniti ma superiore a quello del Giappone: non si può allora non tener conto degli effetti perversi del processo di globalizzazione tra cui la possibile propagazione degli shock attraverso il sistema bancario internazionale. Per la gestione di eventuali spillover di cambio o crisi finanziarie internazionali sarà necessario definire per l’UME un assetto molto sofisticato di politica monetaria per gestire il futuro tra le valute del G3 (Europa, Stati Uniti e Giappone). La creazione di una Target Zone potenziata dal rispetto di una serie di feedback rules disegnate attraverso modelli econometrici avanzati come il GEM, può costituire un valido strumento di hedging per gli Stati membri dell’UME. L’euro ha perso ben il 20% del suo valore rispetto al dollaro nel primo trimestre del 2000.
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Informazioni tesi
Autore: | Alessandra Mirri |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1998-99 |
Università: | Università degli Studi di Roma Tor Vergata |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia e Commercio |
Relatore: | Renato Brunetta |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 215 |
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