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Le crisi valutarie che si autorealizzano

Negli ultimi anni abbiamo assistito a numerosi attacchi speculativi nei confronti di diversi paesi che, soggetti a continue pressioni dei mercati, alla fine hanno svalutato al propria divisa. Un esempio può essere dato dagli attacchi speculativi che colpirono i paesi europei nel 92' e il Messico nel 94'.
L'aspetto importante di queste vicende è che le valute di questi paesi, almeno apparentemente, non avevano ''bisogno'' d'essere attaccate.
Nella letteratura delle crisi valutarie possono essere distinti sostanzialmente due approcci:
il primo, è individuabile nel famoso modello proposto da Krugman nel 79', nel quale il crollo del regime di tasso di cambio fisso è determinato prevalentemente dall'esaurimento delle riserve della banca centrale, il secondo nella categoria dei ''nuovi'' modelli costo-beneficio il cui maggiore esponente è Obstfeld, che presenta un modello nel quale il governo può essere indotto a rinnegare i precedenti impegni di mantenimento della parità, a causa di aspettative pessimistiche da parte del mercato, se i vantaggi derivanti dall'agire in tale modo risultano essere superiori ai costi di mantenimento della parità stessa.
Questa tesi esamina dettagliatamente il modello Krugman 79' e Obstfeld 94',cercando di evidenziare le forzature che i due autori utilizzano nei loro scritti. Viene inoltre presentato brevemente un modello ibrido dato dall'applicazione delle teorie di Obstfeld su un modello di Krugman.
Viene analizzata dettagliatamente la situazione messicana immediatamente prima della crisi del 94' e una veloce verifica della situazione russa nell'agosto del 1998.

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5 1 Introduzione Quando il sistema post-bellico dei tassi di cambio fissi crollò agli inizi degli anni ’70, pochi immaginarono quanto sarebbero stati incostanti i valori monetari nell’era seguente di tassi flessibili. Pochissimi anticiparono quanto sarebbe stato difficile prevedere qualsiasi collegamento sistematico tra i movimenti del tasso di cambio e gli impliciti cambiamenti nei fondamentali economici. Nessuna meraviglia, dunque, che così tanti osservatori abbiano richiesto delle politiche che ripristinassero dei limiti sulle fluttuazioni dei tassi di cambio. Molti sforzi recenti nel fissare i tassi di cambio entro zone ristrette si sono risolti, molto spesso, in spettacolari fallimenti che hanno portato a numerose crisi della Bilancia dei pagamenti. Negli ultimi anni, d'altronde, abbiamo assistito ad attacchi speculativi nei confronti di diversi paesi che, soggetti a continue pressioni dei mercati, alla fine hanno svalutato la propria divisa. Ma l’aspetto importante di queste vicende è che le valute di questi paesi, almeno apparentemente, non avevano bisogno d’essere attaccate. Questi attacchi speculativi, come quelli che hanno colpito i paesi europei nel settembre del’92 ed il Messico alla fine del ’94, hanno riacceso l’interesse accademico sulla possibilità di sopravvivenza di regimi fissi o semi-fissi di tasso di cambio e delle forze speculative che forzarono tali regimi. Nella letteratura delle crisi valutarie possono essere distinti, sostanzialmente, due approcci. Il primo, è individuabile nel modello giustamente famoso di Krugman (1979) e nei suoi successivi ampliamenti, nel quale il crollo del regime di tasso di cambio fisso è determinato prevalentemente dall’esaurimento delle riserve estere della Banca centrale che diventa così incapace di difendere la parità. Quando gli investitori hanno una perfetta previsione e il “peg” attuale deve essere abbandonato, la massimizzazione del profitto da parte degli investitori impone che un duro attacco alle riserve estere della Banca centrale avvenga in un certo momento sul percorso dell’economia. Nei modelli classici, in sostanza, si ipotizzava che i governi avessero un incontrollabile bisogno di monetizzare i loro deficit di bilancio e di fronteggiare una crisi quando questo bisogno urtava contro il tentativo di mantenere fisso il tasso di cambio. Nella visione sopra delineata gli attacchi sono inevitabili e rappresentano una risposta del tutto razionale ai targets macroeconomici interni ed esterni persistentemente in conflitto. Il secondo approccio è individuabile nell’ampia categoria dei “nuovi modelli”, il cui maggior esponente è Maurice Obstfeld che presenta dei modelli costo- beneficio nei quali il governo può essere indotto a rinnegare i precedenti impegni di mantenimento della parità di cambio a causa di aspettative pessimistiche da parte del mercato, se i vantaggi derivanti dall’agire in tal modo risultano superiori ai costi di mantenimento della parità stessa. Tali modelli presuppongono l’esistenza di circostanze nelle quali le crisi della Bilancia dei pagamenti possono essere causate da eventi autorealizzantesi piuttosto che dall’inevitabile risultato di politiche macroeconomiche insostenibili. Tali crisi risultano apparentemente non necessarie, poichè conducono al crollo del tasso di cambio che altrimenti sarebbe stato in grado di “sopravvivere”.

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